Vittorio Feltri, “Ci si rompe le balle
di tutte le veline di B.”
Il direttore editoriale de 'Il Giornale': "Potrei lasciare il quotidiano se condannato per il caso Boffo.
Il premier? E' confuso e non ha mantenuto le promesse"
Nel suo giorno più lungo parte in macchina da Milano, si ferma a mangiare a Firenze, di sera lo trovi in albergo al Sofitel, a un passo da via Veneto. Quasi una ànabasi: una discesa agli inferi in attesa di un giudizio che lascerà un segno, non solo simbolico, nella sua vita. Sulla porta ti saluta con un sorriso sorprendente, amaro: “Domani c’è il plotone di esecuzione”.
Domani, cioè oggi. Vittorio Feltri attende una sentenza che per lui conterà due volte, quella che conferma – o meno – la sua sospensione di sei mesi dall’Ordine per il caso Boffo. Parla di tutto: il crepuscolo del Cavaliere, la storia dei suoi colpi giornalistici più controversi, i capricci della prostata (“Ho ancora la mia, scopo una volta al mese…”). Feltri è prudente, ironico, disincantato. Senza enfasi, mi dice
cose clamorose – in bocca a lui – su Berlusconi. Frasi feroci sul centrodestra (“Il Pdl o come cazzo si chiama…”). Spiega cosa lo divide – anche se civilmente – dal modo di vedere le cose dal suo alter ego, Sallusti (proprio in virtù di quella sentenza) in questo momento cruciale. Mi spiazza se lo incalzo sul modello di “giornalismo vendicativo” che ha imposto in questo anno: “Sì, è vero, è occhio per occhio. Un precetto evangelico”. Alla fine, con il calcolo del mattatore, butta lì – anche se in forma condizionata – una notizia bomba per il mondo del giornalismo. Da giorni corre il tam tam che parla di una sua nuova impresa editoriale, un nuovo giornale da creare dal nulla. Glielo chiedo e lui mi risponde: “Di solito con i quotidiani mi succede questo. Mi stanco. Ebbene, qui non lo ero ancora. Ma… sono molto deluso, amareggiato. Se mi dovesse arrivare una condanna avrei l’impulso irrefrenabile di cambiare subito”. Il bello è che la condanna è quasi certa. E in questo caso diventerebbe una condanna strana: sei mesi più l’obbligo di fondare un nuovo quotidiano.