La Norvegia è il miglior Paese in cui vivere, il Niger il peggiore
L'Onu: «L'immigrazione va incoraggiata. I migranti non tolgono lavoro ai locali anzi migliorano le economie»
BANGKOK - La Norvegia ha ottenuto il titolo di migliore Paese in cui vivere, mentre gli stati dell'Africa sub-sahariana colpiti dalla guerra e dall'Aids risultano i meno allettanti. È quanto emerge dai dati delle Nazioni Unite pubblicati oggi dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) nel rapporto dal titolo «Vincere le barriere» e dedicato al tema dell'immigrazione. I dati, raccolti prima della crisi economica globale, mostrano che il tenore di vita più alto si registra in Norvegia, Australia e Islanda, mentre Niger, Afghanistan e Sierra Leone sono i fanalini di coda in termini di sviluppo umano. L'Italia, inserita nella categoria degli Stati ad altissimo sviluppo umano, è al diciottesimo posto. La sua posizione, a partire al 1980, è piuttosto stabile, a dispetto di Spagna e Irlanda, tra i Paesi europei avanzati più rapidamente (guarda le classifiche). Piuttosto bassi gli indicatori dell'istruzione - l'Italia è al 30° posto per risultati scolastici con il solo 10,1% della popolazione (oltre i 25 anni) in possesso di titolo universitario - mentre, tra i Paesi industrializzati, l'Italia è al 12° posto per tasso di crescita dell'immigrazione. A tener alto in classifica il nostro Paese è l'indice dell'aspettativa di vita nel quale siamo al 6° posto, nella graduatoria riservata all'alfabetizzazione siamo al 22° posto. L'indice del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo è stato calcolato utilizzando dati del 2007 sul Pil pro capite, sull'istruzione e sulle aspettative di vita, e sottolinea marcate differenze tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo.
I MIGRANTI - I migranti dunque costituiscono una spinta allo sviluppo, costano poco o nulla, non portano via posti di lavoro alla popolazione locale. Gettando nuova luce su alcuni luoghi comuni errati, il rapporto sullo sviluppo umano redatto dall'Undp parte da un presupposto: un miliardo di persone - una su sette - migra, ma di queste, meno del 30% si sposta in Paesi stranieri. I migranti interni sono 740 milioni. Solo il 3% della popolazione africana, ad esempio, non vive nel proprio Paese di origine. Inoltre, tra coloro che emigrano all'estero, soltanto poco più di un terzo si muove da un Paese in via di sviluppo a paesi industrializzati. L'analisi, quindi, analizza gli effetti positivi della mobilità: i migranti favoriscono la produttività economica, non portano costi rilevanti alle finanze pubbliche dei Paesi ospitanti, esercitano di rado effetti negativi sui lavoratori locali. Eppure, evidenzia il rapporto, gli ostacoli alla migrazione, in particolare a quella dei lavoratori con scarse qualifiche, restano. I governi tendono ad essere piuttosto ambivalenti, riservando loro trattamenti che spesso lasciano a desiderare.