Ne è pieno anche il forum di scassaminchia...oppure sono semplicemente persone che la pensano in modo diverso ...
il dubbio non ti viene?![]()
Ne è pieno anche il forum di scassaminchia...oppure sono semplicemente persone che la pensano in modo diverso ...
il dubbio non ti viene?![]()
Io sono responsabile di quello che dico. Non di quello che capisci tu. [cit]
Questa è una mela...
IMHOSTICA
no il dubbio nn mi viene..
a parte che personalmente, nn andrei mai a correre una gara cm quella...
e il mio modo di intendere la moto è lontano anni luce dalla competizione sportiva....
se devo misurarmi, lo faccio cn me stesso .... e cerco di migliorare gli aspetti che più ritengo lacunosi in ciò che mi consentirebbero di vivere ancora meglio la mia condizione in più contesti....
nn sn un maniaco dell adrenalina....sai a 53 anni, si cercano altre cose...
nn me ne fotte un cz ne della moto gp , ne della f1...
il tt lo apprezzo un po di più perché il fattore pilota è più diretto nel conseguimento del risultato....
fino a un po di amni fa sarei potuto anche andare a vederlo...ho un amico che organizzava viaggi in moto.. acquistava in anticipo lotti di biglietti, visto che è un nr chiuso....ma nn amo le folle, nn amo gli assembramenti ecc ecc....
tt questo per dire che del tt nn è che me ne fotta più di tanto...
ma per me, uno, nei limiti del nn creare danni al prossimo....può fare che cz gli pare...
per me nn si dovrebbe vietare nn
ognuno deve essere libero di poter pensare, valutare e fare....poi cazzi suoi ciò che succede e le conseguenze a cui va incontro ....
e già solo il fatto che qualcuno possa dire questo lo si può fare e questo no, e ripeto, nei limiti delle libertà e del rispetto, mi sta profondamente sul cazzo....
e per cm sn fatto...
anche se mai lo farei, mi farei venir la voglia appositamente per contestare ul fatto che una persona possa dire a un altra di nn fare....
uanna' ....la cap nan t accmpagn chiu🤣
Ultima modifica di massi69; 16/06/2022 alle 19:11 Motivo: Unione Post Automatica
una organizzazione di esseri viventi si basa su regole condivise
le regole discendono dalla cultura di quella società e da quello che potremmo definire "comune sentire"
il comune sentire è influenzato grandemente dalla storia, dalla religione e dal grado di benessere socio-economico di quella società
infatti: non tutte le società (che qualcuno grossolanamente potrebbe definire popoli) condividono le stesse sensibilità, e, di conseguenza, le stesse regole
ora: chi chieda basi scientifiche, prove, numeri, o opponga concetti assoluti provenienti dal campo filosofico-politico per giustificare quelle regole, chiede qualcosa che non c'entra nulla
per la religione cattolica, per fare un esempio, la vita è sacra e va tutelata perchè non ti appartiene
per altre religioni, come le vogliamo definire, più fataliste, è inutile sbattersi tanto, perchè poi alla fine si arriva doive si deve arrivare (e probabilmente le possibilità di morire nella "vita di tutti i giorni" sono molto più elevate che da noi
per altre ancora più "economicistiche" (protestanti, anglicani) l'impatto delle scelte sulla società, va considerato in maniera ancora diversa
se poi vogliamo parlare del valore di una vita, si apre un mondo di valutazioni diverse a seconda, appunto, della società
e così succede anche per il "valore sociale" di una vita (un individuo non è solo in quanto individuo, ma anche in quanto partecipante a una struttura sociale, almeno fra gli esseri umani...ma se si guarda bene anche fra gli animali)
mi pare quindi ovvio che stiamo facendo questa discussione basandoci sui valori della nostra società (quella occidentale-cattolica), che potrebbero perfettamente non essere completamente condivisi (e infatti non lo sono) da culture anche solo lievemente diverse dalla nostra, figuriamoci se stessimo discutendo dello stesso argomento in Gabon o in Burkina Faso...
se prescindiamo da questo presupposto, stiamo discutendo del nulla, paragonando automobili a gelati o grattacieli
poi una critica filosofica a quelli che sono i valori della nostra società è sempre possibile, figuriamoci, ma va fatta considerando tutti i casi, e non scegliendo le ciliegie che ci piacciono di più, e considerando anche che nella nostra società, e comprendo che a qualcuno possa dispiacere, quello che "vince" è il sentire della maggioranza...e da questo discendono regole e opinioni
tagliare le mani a un ladro è una regola perfettamente condivisa in alcune società, non lo è nella nostra, anche se non escludo ci siano persone che anche qui la riterrebbero una pratica auspicabile
oppure può essere accettabile, e lo era anche qui, fino a non molto tempo fa, che un marito cornuto fosse praticamente "obbligato" a far fuori la moglie, tanto è vero che per il delitto "d'onore" (sic) erano previste attenuanti dal nostro codice di procedura civile
giusto per fare un esempio e per indicare che, nel corso del tempo, anche il comune sentire può cambiare
nella nostra società è condiviso che, dove possibile, anche nelle manifestazioni sportive che presentano per loro caratteristica, una elevata dose di rischio, sia etico fare tutto il possibile per ridurlo, e, laddove impossibile, si possa arrivare anche a decidere di sospendere quella singola attività, attraverso il lavoro delle federazioni, della politica eccetera.
ho stato spiegato aanche per l'ommo della strada ? magari anche senza banane, pappagalli o risatine sciocche?![]()
Ultima modifica di ABCDEF; 17/06/2022 alle 10:02
Hai spiegato perfettamente.
A maggior ragione quindi...femose i gazxi nostri.
https://www.estetica-mente.com/opini...trosenso/6090/
“Al Tourist Trophy se cadi, muori. Eppure il suo fascino è irresistibile.” Credo che questa frase di Giacomo Agostini, che al TT ci ha corso e ci ha vinto (e lo ha profondamente osteggiato), sia la più lucida definizione di questa gara, così lontana dalle competizioni motociclistiche attuali, eppure così simile, per significato, a quella cosa che il TT sembra avere in odio più di tutto: la vita.
Una semplice pacca sulla spalla. Questo è il segnale dell’inizio, il momento in cui il pilota molla la frizione e parte per il suo personale toboga sullo Snaefell Mountain Course, 60,7 km di lunghezza da ripetersi più volte a seconda della categoria: oltre 200 curve che si dipanano tra le strade dell’isola di Man, sfiorando muretti, pali della luce, case e strapiombi in un costante “paso doble” con quella che, nella migliore delle ipotesi in caso di errore, potrebbe essere la fine di tutto. Questo è il Tourist Trophy, una gara su strada nata nel 1907 e che da allora ha affascinato e fatto discutere generazioni di appassionati. Si è presa centinaia di vite (tra piloti, pubblico e marshal) e nonostante ciò sopravvive, incurante delle critiche, fiera del suo anacronismo e della sua dura onestà. Perché il TT sa di non essere un “controsenso” (e per certi versi neanche una semplice gara di moto) ma semplicemente l’espressione più razionale della follia. O, se volete, l’espressione più folle di una cosa che consideriamo normale, come lo scorrere naturale della vita.
Non è facile raccogliere i pensieri se sei fresco di ritorno da quell’isola e, per la prima volta, hai potuto toccare con mano quello che questa gara rappresenta. Uno sguardo dal vivo, ripulito dalle critiche di chi lo osteggia e dall’immagine leggendaria che ce ne danno i DVD. Il Tourist Trophy, infatti, non lo conosci solo attraverso i salti meravigliosi di Mc Guinness al Ballaugh Bridge o ammirando le staccate di Bruce Anstey alla curva del Creg-Ny-Baa, e non puoi soprattutto pensare di conoscerlo leggendo gli articoli feroci che esplodono come supernove di inchiostro e carta ogni qualvolta un pilota ci lascia le penne. No. Il senso del TT lo puoi percepire solo nella maniera più assurda possibile (almeno su quelle strade), ossia camminando a piedi per il tracciato, toccando le protezioni disseminate lungo le curve, saggiando col piede i cordoli bianchi e neri (smussati ma pur sempre di pietra dura), osservando la tenera inutilità dei materassi messi dagli abitanti dell’isola e che avvolgono i pali della luce a bordo strada (a 200 km/h il palo della luce lo puoi ricoprire anche di marshmallow, ma non cambia l’esito dell’impatto). Chi corre il TT, infatti, vince anche se non arriva primo, vince anche se non arriva, in realtà. Il solo motivo di essere lì e giocarsi tutto per qualcosa di intangibile come la passione, è già una vittoria. Non ci sono milioni di euro in ballo, non c’è il sogno di una vita agiata alla fine del Gran Premio. Chi corre qui, se vince, si porta a casa la coppa con l’effigie del Mercurio Alato, se perde, invece, coltiverà la speranza di poter correre ancora il prossimo anno. Tutti però, vinti e vincitori, ottengono qualcosa di molto più importante, ossia l’amore della gente, l’affetto incondizionato di chi sta guardando un eroe.
Ora, quello che c’è scritto qui sopra ha preso forma nel volo Isola di Man–Birmingham, prima tappa di un odisseico viaggio verso casa dopo 4 giorni passati sull’isola, ovviamente per lavoro. Arai, il marchio di caschi più famoso al mondo, ha invitato la testata per cui collaboro a provare il loro casco top di gamma sulle strade dell’isola, qualche giorno prima l’inizio del TT. Confesso che quando mi hanno proposto la trasferta, la felicità di poter finalmente visitare un luogo leggendario, si è mischiata inevitabilmente alla paura di solcare quelle strade, così diverse da qualsiasi altra che conosco. A spaventarmi, più di tutto, era il tanto abusato concetto di “limite”. Guido Meda, ormai da anni, ci urla nelle orecchie che il limite per i piloti è un concetto fluttuante, che il limite va superato, che con lui si danza e, spesso, il campione è proprio quello che sa spingersi oltre le proprie possibilità. Beh, se ciò è vero in circuito, qui sullo Snaefell Mountain Course, il limite è tutto tranne una linea da cavalcare. Qui, questo termine trova il suo senso etimologico più vero: il “limite” sull’Isola è un limite. Oltre a esso non c’è la via di fuga, o una scivolata, o un un dritto sulla ghiaia. Il limite è un muro (un muro vero!) che non puoi oltrepassare. Ed è questo, nella sua crudeltà, a rendere il TT qualcosa di immensamente affascinante. Per riuscire a essere veloci tra quelle curve, infatti, non bisogna sapere quando “darci del gas”, è necessario sapere quando bisogna “toglierlo”. Sembra folle, l’ennesimo controsenso, ma a pensarci bene non lo è. Lucida follia, un continuo gioco a levare, indispensabile per provare a toccare quel limite. Una partita coerente, senza inganni, come appunto dovrebbe essere la vita.
– Prima di darci la possibilità di testare il casco sul Mountain, l’organizzazione Arai ha pensato potesse essere interessante fare una visita alla Joey Dunlop Foundation, una grossa casa perfettamente attrezzata per ospitare tra gli altri, piloti che hanno subito traumi gravi durante la gara. Costata oltre un milione di sterline, la fondazione viene sovvenzionata attraverso donazioni e ovviamente l’affitto delle stanze. C’è tutto, letti comandabili elettricamente, rampe d’accesso, bagni studiati per essere utilizzati in perfetta autonomia e poi il piatto forte: una terrazza che si affaccia sulla curva a destra che porta al Braddan Bridge, dove i piloti arrivano dopo essersi sparati la discesona di Bray Hill. Giusto per ricordarci sempre quale è il limite.
– La parte del Mountain, la più bella di tutto il tracciato, durante il periodo di gara diventa una sorta di pista aperta anche ai comuni mortali. In pratica, solo in quel punto, viene tolto il doppio senso di circolazione e vengono eliminati i limiti di velocità. Ennesimo controsenso? Forse. A levarmi ogni dubbio è stato l’incontro che ho fatto appena partito per il mio giro sul Mountain: dopo aver percorso i primi metri, infatti, appostato all’uscita di una curva c’era un poliziotto che appena mi ha visto mi ha salutato e mi ha urlato “Goooo!”
– Girovagando per il paddock, si incontrano le umanità più disparate. La cosa più bella però sono le famiglie: madri, padri e figli stipati in una tenda a lavorare sul loro mezzo, banchi di lavoro improvvisati, una piastra elettrica sempre accesa e l’immancabile compilation di birrette vicino. Stupenda, tra tutte, l’immagine di una signora attempata che, incurante di essere vestita di tutto punto, con la capillera in piega e tanto oro addosso, affondava le mani nel motore del sidecar del marito, anche lei alla ricerca di quel CV in più che può fare la differenza.
– Nelle corse su strada e al TT in particolare, il binomio moto-pilota è ancora tanto sbilanciato verso il secondo. Il coraggio e il manico del pilota sono più determinanti di un’elettronica bene a punto, perché qui, oltre alla velocità, entrano in ballo numerosi fattori, alcuni di essi imponderabili. Per tenere fede a questa regola, i piloti del TT hanno recentemente sottoscritto una petizione per abolire una norma introdotta qualche anno fa e che vuole, per aumentare la sicurezza, che le gare vengano interrotte in caso di pioggia. Loro spiegano: se corsa deve essere, che corsa sia, in qualsiasi condizione. Controsenso anche questo?
Fatta quell'esperienza nel 2011, in sella alla mia Shiver con cui sono arrivato a Man direttamente da Venezia.
Che dire.. Non è sempre aperta, anche perchè molte volte è segnalata nebbia sullo Sneafell.
Quindi ti metti comodo a guardare i tabelloni luminosi sparsi in qui e lì che danno informazioni apsettando di veder comparire "Mountain Course OPEN".
Allora ti precipiti fuori Ramsey insieme a una moltitudine di altri bikers, da soli o in coppia, con un sidecar del '46 o con l'ultima R1 dove inizia il tratto "montano" del Course, precisamente all'Hairpin dove una coppia di solerti poliziotti del luogo regola l'accesso, scaglionando le "partenze", urlando "Go" e "Come in man!", battendoti anche il 5 o chiedendo a qualcuno informazioni sulla propria moto.
Per inciso, sono gli stessi poliziotti che, quando il Mountain non è aperto, si piazzano con il velox e ti aprono le natiche se oltrepassi i limiti (e per la cronaca non puoi permetterti di non pagare la multa, pena il divieto di imbarco sul traghetto di ritorno).
Dall'Hairpin si parte un po' timorosi, con decine di moto che ti sorpassano o da sorpassare, cominci a spingere, ti sembra di volare, ma a mente lucida capisci poi che non stavi andando più forte di quando sei sulle tue strade a casa.
Il tracciato si snoda, tra curve che dimentichi in fretta perchè poi la tua mente deve gestire lo spettacolo del tratto dello Sneafell, lassù in cima, e non ti accorgi nemmeno che sei passato accanto alla statua di Dunlop, chettifrega, stai correndo sul Mountain, perdio, tra altri fratelli e sorelle, in una bolgia di piccola anarchia, in cui il pericolo è l'ultimissimo dei tuoi pensieri.
Curve, curve, pascoli, tutto si snoda veloce finchè non arrivi al discesone della curva di Creeg Ny Baa, dove il tratto libero finisce, e tu rallenti al moto mentre il cuore aumentai battiti e l'adrenalina spinge ancora nelle vene e il casco non riesce più a tenere dentro il sorriso ebete e soddisfatto di chi ha appena assaggiato un pezzo di leggenda delle corse.
Dopo tutto questo meglio fermarsi al pub e ordinare l'immancabile pinta di scura, far scendere l'adrenalina e godersi le chiacchere di altri che sono appena scesi dallo Sneafell, perchè fuori da questa oasi di follia le regole e i limiti si rispettano (e li fanno rispettare).
Il TT Isle of Man è anche questo...