Ciao a tutti,
ho viaggiato su maxienduro (Bmw ed Honda) per lunghi anni. Poi è nata Beatrice e il concetto di vacanza si è riadattato alla paternità. La passione per le due ruote non si è comunque esaurita, ha cambiato forma trasferendosi alla V7 della Guzzi con cui mi sono divertito per un po'. Qualche settimana fa ho ordinato la nuova T120 e la sto aspettando come un bambino aspetta il Natale.
Grazie per avermi accolto in questo gruppo, buona strada a tutti.
Stefano, Pavia
PS: non perdiamo mai la bella abitudine di salutarci quando ci incontriamo lungo la strada. Ognuno ha i propri gusti e le proprie preferenze ma credo che le moto siano tutte belle a prescindere
Tra le varie funzioni che le due ruote hanno svolto nella mia vita, quella che mi ha regalato le gioie maggiori è senza dubbio legata al viaggio.
Non mi sono mai molto piaciute le autostrade e gli spostamenti veloci dal punto A al punto B se non per motivi di una qualche fretta di vivere, spesso inutile. Ho sempre preferito le statali o addirittura le provinciali. Mi hanno dato l’idea di un maggior contatto con la verità del luogo percorso. Strade molto più lente, più autentiche. Ho evitato gps e navigatori vari. Sempre e solo cartine e “intuito” agli incroci.
Nessuna fretta; partire piuttosto un’ora prima, un giorno prima, una settimana prima.
Questi concetti non sono miei ma sono figli dell’incontro con il mio Buddha motociclistico. Che lo so che parlare di incontrare un Buddha può far ridere in sé ma, come dice il buon Vinicio, la vita stessa è l’espressione massima di una sorta di arte dell’incontro. Sì perché nell’incontro si aprono le possibilità. A meno che non si sia dei fanatici i punti esclamativi si trasformano in punti di domanda: se io pensassi di aver ragione! allora bòn, basta, è finita. Il Pensiero (forse non lo sa ma) è già morto, non può scoprire nient’altro che la verità assoluta di cui ritiene di essere portatore.
Ma se io pensassi che ho ragione? allora è tutta un’altra musica e il pensiero procede, va oltre, arriva nel compromesso, nella sintesi, è vivo e progredisce.
Comunque il mio Buddha dei viaggi in moto si chiama Sergio, è un architetto over 60 e fa il direttore di qualcosa.
Incrociammo le strade tanto tempo fa per motivi professionali e grazie a lui finii in carcere (a lavorare) per un paio d’anni. Lì imparai cose parecchio importanti come per esempio trasformare una caffettiera e un calzino in un un’arma e mi guadagnai una specie di “protezione” per cui sono tuttora - mio malgrado - assicuratissimo contro ogni tipo di "infortunio".
Sergio non ha per niente il physique du rôle del biker e racconta che a giugno di ogni anno si mette a litigare con una nazi-dieta per rientrare nei pantaloni da moto dell’anno (e della taglia) precedente.
Che poi a pensarci bene quello del biker brutto e sporco e cattivo è solo uno stereotipo come tanti, un cliché farlocco di cui ho visto agghindarsi perlopiù i motociclisti da aperitivo in piazza.
A vederlo così com’è il buon Sergio non lo diresti proprio che è un asso delle due ruote ed io non lo dissi così che cominciai a fare un po’ il ganassa con le “imprese” in carriera tra cui le curve del Penice, le Cinque Terre e, il pezzo forte, la tiratona Pavia-Santa Maria di Leuca.
Mi lasciò parlare senza interrompermi, provando a mostrare interesse finché venne il suo turno. Senza particolare enfasi srotolò un curriculum che mi lasciò a bocca aperta.
Non voleva umiliarmi con una sorta di misurazione centimetrata del pisello. Voleva educarmi, come ebbi poi ben modo di capire nel tempo.
La chiosa del primo round fu micidiale: “Tu non ne sai un cazzo ma sei un bravo cristiano, mi stai simpatico e se vuoi ti spiego”.
Diretto, montante, gancio. Ko, steso a terra dal mio Buddha.
Per anni ho pianificato i miei viaggi confrontandomi con lui, ascoltando i suoi consigli e seguendo le sue indicazioni. “Partirai col facile, la Grecia, e sappi che ti invidio perché la prima volta che vai in moto in quella terra non te la puoi dimenticare”.
Non smetterò mai di ringraziarlo per avermi insegnato a conoscere, apprezzare e rispettare la strada. Nella mia memoria ci sono migliaia di chilometri e di polaroid che i miei occhi hanno scattato qua e là. Classificarle razionalmente è impossibile ma emotivamente penso che le strade che mi abbiano dato le vibrazioni più intense siano state la litoranea còrsa in senso antiorario, la Jadranska Magistrala e la King’s Road verso Petra. I momenti più divertenti sgasando in contromano nel dedalo di viuzze nella Plaka e su e giù per Beyoğlu. Le emozioni più forti nell’epicità dell’imbarco su Caronte a Scilla, i sorpassi arditi sul Tizi n'Tichka con l’ingresso trionfale nella Jamaa el Fnaa tra saltimbanchi, scimmie ammaestrate e incantatori di serpenti. Brividi di tutt’altra natura percorrendo la Snajperska aleja, la triste strada del Dragone di Sarajevo.
L’immagine definitiva, la summa perfetta dei miei viaggi su due ruote sta però in una curva. L’ultima dopo 200 km nel niente del deserto di Badia, sassoso e rovente. Quella lingua di asfalto fin sull’altura che all’improvviso ha regalato ai miei occhi l’immensa bellezza della Sposa del Deserto.
Mi sono rimasti in canna obiettivi ambiziosi come la Darvaza, il Registan, Persepoli, Leptis Magna…
Sergio mi guarda e dice “chissà mai”.