Medoro
01/09/2009, 13:13
Sapevo che poteva essere pericoloso. Durante le settimane precedenti le elezioni i talebani avevano avvisato la
Lal Mohammad (Afp)
popolazione di posti di blocco volanti che avrebbero tagliato naso e orecchie a chiunque avesse votato. Ma la mattina del 20 ho deciso che dovevo andare al seggio. Pensavo, e penso tutt’ora, sia l’unico modo per portare la pace nel nostro povero Paese» dice con un filo di voce Lal Mohammad.
Una fessura sanguinolenta in mezzo al viso e due moncherini di cartilagine dove prima c’erano le orecchie. Vestito con una sorta di pigiama azzurrino, ma stracciato ad una gamba e sporco di sangue, ci riceve nella stanza per i ricoverati nel reparto chirurgia plastica dell’ospedale Maiwan, nel cuore di Kabul.
Il suo dramma apparve come un rapido flash sulle televisioni private afgane quattro giorni fa. Questo povero contadino quarantenne sceso dalle montagne dello Oruzgan (circa 500 chilometri a ovest di Kabul) era la prima vittima davvero documentabile della brutalità talebana contro il processo elettorale. E ieri è stato rilanciato all’attenzione internazionale dopo che il quotidiano britannico “The Independent” era riuscito ad intervistarlo e fotografarlo bendato a naso e orecchie in un’abitazione privata alla periferia della capitale. In serata l’abbiamo raggiunto in ospedale assieme ad alcuni medici. Le autorità locali vorrebbero nasconderlo ai giornalisti. L’intero complesso ospedaliero rischia altrimenti di diventare un obiettivo della guerriglia talebana.
Lal Mohammad racconta dunque la sua storia con nuovi, inquietanti particolari. «La mattina
(Afp)
del 20 agosto mi sono alzato presto nella mia fattoria sulle colline che dominano il villaggio di Sheran, dove si trovava il seggio. Ero in dubbio se votare o no. Lo avevo fatto per le presidenziali del 2004 e le parlamentari del 2005. Ma adesso era molto più pericoloso. Verso le sette e mezza mi sono deciso. Mia moglie e i miei nove figli dormivano ancora. Ci vuole circa un’ora e mezza per raggiungere il villaggio a piedi. A metà sentiero tre talebani che non conosco mi hanno fermato. Erano armati, mi hanno perquisito. Quando hanno trovato il certificato elettorale sono cominciate le botte. Mi hanno colpito con i calci dei fucili su tutto il corpo. Sono caduto a terra. E uno di loro mi ha tagliato naso e orecchie con un coltello».
Lasciato semisvenuto ai bordi del sentiero, viene raccolto da un cugino, Noor Mohammad, che ieri era vicino al suo letto. «Lal non poteva camminare, perdeva sangue. L’ho caricato su di un mulo e ci sono volute alcune ore per riportarlo a casa. Intanto nel villaggio si era sparsa la voce dell’aggressione. I talebani l’avevano ben pianificata in prima mattinata per scoraggiare l’andata alle urne», ricorda. Solo cinque giorni dopo riescono infine a trasportare Lal a Kabul. Qui si sparge la voce che sia stato subito dimesso e allontano per evitare problemi. E’ però il suo chirurgo, dottor Asik, a chiarire: «Abbiamo seguito le normali procedure. Il paziente è stato medicato e bendato. Non è mai stato in pericolo di vita. Lo abbiamo dunque invitato a tornare oggi per cominciare il processo di ricostruzione plastica, che prenderà almeno quattro mesi». Lal abbassa la testa. «Non so più che fare. Ora dovrò convincere la mia famiglia ad abbandonare la nostra fattoria per venire a vivere a Kabul. Là, sulle montagne del Oruzgan, è diventato troppo pericoloso per tutti noi. Nessuno può garantire la nostra sicurezza. E il mio caso sta diventando troppo noto. Io stesso neppure penso di tornare a prenderli, saranno i miei cugini a portare qui mia moglie e i bambini», le sue parole giungono sempre più deboli, lontane. Un uomo sconfitto, impaurito, rannicchiato sul materasso sporco.
Nella cultura locale il taglio di naso e orecchie rappresenta un’umiliazione gravissima. Molto peggiore del taglio del dito, che pure sembra sia stato compiuto in alcune zone rurali contro chiunque avesse sull’indice la macchia di inchiostro nero voluta dalle autorità come espediente ai seggi per evitare il rischio che gli elettori potessero votare più volte. Ieri pomeriggio alcuni studenti ospitati nei dormitori del campus dell’Università di Kabul spiegavano che nelle zone remote più infestate dai talebani, per esempio a Gazni, nel Lowgar e lungo la frontiera pakistana, in molti casi i commissari di seggio hanno evitato la procedura del dito nell’inchiostro proprio per evitare che gli elettori fossero individuabili. «Probabilmente ci sono state molte più violenze contro gli elettori nelle regioni rurali di quanto sia emerso dai media», commentano i medici del Maiwan. E cosa farà Lal Mohammad alle prossime elezioni? «Non voterò mai più», dice d’istinto. Poi, però ci pensa sopra. E si corregge: «Anzi, no. Voterò ancora. Altrimenti la diamo vinta ai talebani».
«Mi hanno tagliato naso e orecchie ma tornerò di nuovo a votare» - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/esteri/09_agosto_31/afghano_intervista_cremonesi_4d17874c-965b-11de-8f5e-00144f02aabc.shtml)
Lal Mohammad (Afp)
popolazione di posti di blocco volanti che avrebbero tagliato naso e orecchie a chiunque avesse votato. Ma la mattina del 20 ho deciso che dovevo andare al seggio. Pensavo, e penso tutt’ora, sia l’unico modo per portare la pace nel nostro povero Paese» dice con un filo di voce Lal Mohammad.
Una fessura sanguinolenta in mezzo al viso e due moncherini di cartilagine dove prima c’erano le orecchie. Vestito con una sorta di pigiama azzurrino, ma stracciato ad una gamba e sporco di sangue, ci riceve nella stanza per i ricoverati nel reparto chirurgia plastica dell’ospedale Maiwan, nel cuore di Kabul.
Il suo dramma apparve come un rapido flash sulle televisioni private afgane quattro giorni fa. Questo povero contadino quarantenne sceso dalle montagne dello Oruzgan (circa 500 chilometri a ovest di Kabul) era la prima vittima davvero documentabile della brutalità talebana contro il processo elettorale. E ieri è stato rilanciato all’attenzione internazionale dopo che il quotidiano britannico “The Independent” era riuscito ad intervistarlo e fotografarlo bendato a naso e orecchie in un’abitazione privata alla periferia della capitale. In serata l’abbiamo raggiunto in ospedale assieme ad alcuni medici. Le autorità locali vorrebbero nasconderlo ai giornalisti. L’intero complesso ospedaliero rischia altrimenti di diventare un obiettivo della guerriglia talebana.
Lal Mohammad racconta dunque la sua storia con nuovi, inquietanti particolari. «La mattina
(Afp)
del 20 agosto mi sono alzato presto nella mia fattoria sulle colline che dominano il villaggio di Sheran, dove si trovava il seggio. Ero in dubbio se votare o no. Lo avevo fatto per le presidenziali del 2004 e le parlamentari del 2005. Ma adesso era molto più pericoloso. Verso le sette e mezza mi sono deciso. Mia moglie e i miei nove figli dormivano ancora. Ci vuole circa un’ora e mezza per raggiungere il villaggio a piedi. A metà sentiero tre talebani che non conosco mi hanno fermato. Erano armati, mi hanno perquisito. Quando hanno trovato il certificato elettorale sono cominciate le botte. Mi hanno colpito con i calci dei fucili su tutto il corpo. Sono caduto a terra. E uno di loro mi ha tagliato naso e orecchie con un coltello».
Lasciato semisvenuto ai bordi del sentiero, viene raccolto da un cugino, Noor Mohammad, che ieri era vicino al suo letto. «Lal non poteva camminare, perdeva sangue. L’ho caricato su di un mulo e ci sono volute alcune ore per riportarlo a casa. Intanto nel villaggio si era sparsa la voce dell’aggressione. I talebani l’avevano ben pianificata in prima mattinata per scoraggiare l’andata alle urne», ricorda. Solo cinque giorni dopo riescono infine a trasportare Lal a Kabul. Qui si sparge la voce che sia stato subito dimesso e allontano per evitare problemi. E’ però il suo chirurgo, dottor Asik, a chiarire: «Abbiamo seguito le normali procedure. Il paziente è stato medicato e bendato. Non è mai stato in pericolo di vita. Lo abbiamo dunque invitato a tornare oggi per cominciare il processo di ricostruzione plastica, che prenderà almeno quattro mesi». Lal abbassa la testa. «Non so più che fare. Ora dovrò convincere la mia famiglia ad abbandonare la nostra fattoria per venire a vivere a Kabul. Là, sulle montagne del Oruzgan, è diventato troppo pericoloso per tutti noi. Nessuno può garantire la nostra sicurezza. E il mio caso sta diventando troppo noto. Io stesso neppure penso di tornare a prenderli, saranno i miei cugini a portare qui mia moglie e i bambini», le sue parole giungono sempre più deboli, lontane. Un uomo sconfitto, impaurito, rannicchiato sul materasso sporco.
Nella cultura locale il taglio di naso e orecchie rappresenta un’umiliazione gravissima. Molto peggiore del taglio del dito, che pure sembra sia stato compiuto in alcune zone rurali contro chiunque avesse sull’indice la macchia di inchiostro nero voluta dalle autorità come espediente ai seggi per evitare il rischio che gli elettori potessero votare più volte. Ieri pomeriggio alcuni studenti ospitati nei dormitori del campus dell’Università di Kabul spiegavano che nelle zone remote più infestate dai talebani, per esempio a Gazni, nel Lowgar e lungo la frontiera pakistana, in molti casi i commissari di seggio hanno evitato la procedura del dito nell’inchiostro proprio per evitare che gli elettori fossero individuabili. «Probabilmente ci sono state molte più violenze contro gli elettori nelle regioni rurali di quanto sia emerso dai media», commentano i medici del Maiwan. E cosa farà Lal Mohammad alle prossime elezioni? «Non voterò mai più», dice d’istinto. Poi, però ci pensa sopra. E si corregge: «Anzi, no. Voterò ancora. Altrimenti la diamo vinta ai talebani».
«Mi hanno tagliato naso e orecchie ma tornerò di nuovo a votare» - Corriere della Sera (http://www.corriere.it/esteri/09_agosto_31/afghano_intervista_cremonesi_4d17874c-965b-11de-8f5e-00144f02aabc.shtml)