M@TT
13/12/2007, 09:56
Lunedì 10 Dicembre 2008
Salve, sono un operaio. Sì esistiamo ancora, ma non abbiate paura: io sono
già morto. Oggi sfilerete per la mia città con il lutto al braccio,
osserverete qualche minuto di silenzio e deporrete fiori per ricordare me e
i miei tre compagni di lavoro scomparsi in quell'inferno di fabbrica. Ma
noi
eravamo già morti, bruciati nell'animo dall'indifferenza.
Non potete immaginare cosa voglia dire lavorare per sedici ore consecutive
tra il rumore, la puzza di combustibile e un calore che ti scioglie le
ossa
e ogni pensiero. Dopo una decina di ore non capisci più quello che stai
facendo. Vai avanti per inerzia con gesti automatici e a morire nemmeno ci
pensi. Perché morire lavorando è la cosa più assurda che ti possa
succedere.
Magari ci scherzi su col caposquadra, che ti lancia un'occhiata paterna e
bonaria prima di dirti «Badòla, torna a lavorare!», perché ha la
commissione
da terminare e in fretta. Già, le commissioni. Qui parlavano tanto di
smantellamento, eppure continuavano a dirottare su Torino tante di quelle
lavorazioni che ho ormai perso il conto. Ufficialmente, però, stavamo
smantellando. Così, qualcuno di noi si ritrovava pure a fare le pulizie.
Altro che operai specializzati. Schiavi a ore, ecco cos'eravamo.
Capita poi un giorno che per il sovraccarico di lavoro scoppi un tubo
pieno
di olio lubrificante. Quei tubi che ti avvolgono come un boa per tutta la
fabbrica, ma mica ci pensi che potrebbero stringerti in un atroce finale.
L'olio si è incendiato quasi subito e, ve lo assicuro, vedere i propri
amici, i propri compagni di sudore, quelli di cui conosci mogli, figli...
Vederli arsi vivi, beh, ti uccide ancor prima di essere morto. Per me è
stato così, almeno. Non mi sono nemmeno accorto che stavo facendo la loro
stessa fine.
È strano, sapete? Dopo i primi istanti di dolore, in cui vorresti
strapparti il cuore, non senti più nulla. Il fuoco purifica, ma soprattutto ti brucia
tutte le terminazioni nervose della pelle e non senti più dolore. Almeno
così dicevano i medici mentre cercavano di staccarmi i vestiti, che si
erano ormai fusi sulla mia pelle. Un paio di giorni di agonia e poi via, nemmeno
il tempo per una lacrima. Tanto non l'avrei sentita rigarmi la faccia.
Ora è finita, ho timbrato il cartellino per l'ultima volta mercoledì 5
dicembre. Avevo 26 anni ed ero operaio. Non esistevo prima e tra qualche
giorno non esisterò più.
Ciao
Salve, sono un operaio. Sì esistiamo ancora, ma non abbiate paura: io sono
già morto. Oggi sfilerete per la mia città con il lutto al braccio,
osserverete qualche minuto di silenzio e deporrete fiori per ricordare me e
i miei tre compagni di lavoro scomparsi in quell'inferno di fabbrica. Ma
noi
eravamo già morti, bruciati nell'animo dall'indifferenza.
Non potete immaginare cosa voglia dire lavorare per sedici ore consecutive
tra il rumore, la puzza di combustibile e un calore che ti scioglie le
ossa
e ogni pensiero. Dopo una decina di ore non capisci più quello che stai
facendo. Vai avanti per inerzia con gesti automatici e a morire nemmeno ci
pensi. Perché morire lavorando è la cosa più assurda che ti possa
succedere.
Magari ci scherzi su col caposquadra, che ti lancia un'occhiata paterna e
bonaria prima di dirti «Badòla, torna a lavorare!», perché ha la
commissione
da terminare e in fretta. Già, le commissioni. Qui parlavano tanto di
smantellamento, eppure continuavano a dirottare su Torino tante di quelle
lavorazioni che ho ormai perso il conto. Ufficialmente, però, stavamo
smantellando. Così, qualcuno di noi si ritrovava pure a fare le pulizie.
Altro che operai specializzati. Schiavi a ore, ecco cos'eravamo.
Capita poi un giorno che per il sovraccarico di lavoro scoppi un tubo
pieno
di olio lubrificante. Quei tubi che ti avvolgono come un boa per tutta la
fabbrica, ma mica ci pensi che potrebbero stringerti in un atroce finale.
L'olio si è incendiato quasi subito e, ve lo assicuro, vedere i propri
amici, i propri compagni di sudore, quelli di cui conosci mogli, figli...
Vederli arsi vivi, beh, ti uccide ancor prima di essere morto. Per me è
stato così, almeno. Non mi sono nemmeno accorto che stavo facendo la loro
stessa fine.
È strano, sapete? Dopo i primi istanti di dolore, in cui vorresti
strapparti il cuore, non senti più nulla. Il fuoco purifica, ma soprattutto ti brucia
tutte le terminazioni nervose della pelle e non senti più dolore. Almeno
così dicevano i medici mentre cercavano di staccarmi i vestiti, che si
erano ormai fusi sulla mia pelle. Un paio di giorni di agonia e poi via, nemmeno
il tempo per una lacrima. Tanto non l'avrei sentita rigarmi la faccia.
Ora è finita, ho timbrato il cartellino per l'ultima volta mercoledì 5
dicembre. Avevo 26 anni ed ero operaio. Non esistevo prima e tra qualche
giorno non esisterò più.
Ciao