XantiaX
16/09/2008, 08:20
Sabra e Shatila (talora trascritto come Chatila, in arabo: صبرا وشاتيلا, Ṣabrā e Shātīlā) sono due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Vengono ricordati per il massacro di un numero di arabi palestinesi stimato tra diverse centinaia e 3500[1], perpetrato da milizie cristiane libanesi in un'area direttamente controllata dall'esercito israeliano, tra il 16 e 18 settembre del 1982. Sono anche ricordati per successivi fatti di sangue avvenuti nel 1985–1987 e noti come guerra dei campi.
Sabra e Shatila - Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Sabra_e_Shatila)
Sabra e Shatila: La testimonianza di Oriana Fallaci
dal romanzo "Inshallah"
“Erano piombati alle nove d’un mercoledi’ sera, i falangisti di papā
Gemayel,…E con la complicitā degli israeliani, sempre lieti di soddisfare
la loro inesauribile sete di vendetta, avevano circondato I due quartieri
per bloccarne ogni via d’uscita. Una manovra cosi’ veloce, perfetta, che
pochi avevano avuto il tempo di nascondersi o tentare la fuga. Poi, fieri
della loro fede in Gesų Cristo e in San Marone e nella Madonna, protetti
dai figli d’Abramo che gli illuminavan la strada coi riflettori, erano
irrotti nelle case. S’erano messi ad ammazzare I disgraziati che a
quell’ora cenavano o guardavano la televisione o dormivano. Avevano
continuato tutta la notte. E tutto il giorno seguente. E tutta la notte
seguente, fino a venerdi mattina. Trentasei ore filate. Senza stancarsi,
senza fermarsi, senza che nessuno gli dicesse basta. Nessuno.Nč gli
israeliani, ovvio, nč gli sciiti che abitavano negli edifici attigui e che
dalle finestre vedevano bene l’obbrobrio. E fortunati gli uomini uccisi
subito a raffiche di mitra o colpi di baionetta , fortunati I vecchi
sgozzati nel letto per risparmiare le munizioni. Le donne, prima di
fucilarle o sgozzarle, le avevano violentate. Sodomizzate.
I loro corpi, zangole per dieci o venti stupratori per volta. I loro
neonati, bersagli per il tirassegno all’arma bianca o da fuoco:
intramontabile sport nel quale gli uomini, che si ritengono superiori alle
bestie, hanno sempre eccelso e che da qualche secolo viene chiamato
strage-di-Erode. Un ragazzo ferito era riuscito a scappare malgrado il
blocco delle vie d’uscita e a rifugiarsi nel piccolo ospedale che tre
medici svedesi gestivano di fronte a Shatila. Ma I soldati di Erode lo
avevan raggiunto e liquidato mentre giaceva sul tavolo operatorio. Spintone
al chirurgo che estrae la pallottola, revolverata alla tempia
dell’infermiera palestinese che cerca di opporsi e via. All’alba di
venerdi, stanchi di dargli la caccia e ammazzarli uno a uno , avevano
minato le case nelle cui cantine s’erano nascosti i superstiti. Quasi tutte
case di Chatila. Poi avevano lasciato il quartiere cantando spavalde
canzoni di guerra e lasciandosi dietro un carnaio da film dell’orrore.
Bambini di due o tre anni che ciondolavano dalle travi delle case esplose
come polli spennati e appesi ai ganci di una macelleria. Neonati
spiaccicati o tagliati in due, mamme intirizzite nell’inutile gesto di
ripararli. Cadaveri seminudi di donne coi polsi legati e le natiche sozze
di sperma e di sterco. Cataste di uomini fucilati e coperti di topi che gli
mangiavano il naso, gli occhi, gli orecchi. Intere famiglie riverse sulle
tavole apparecchiate, vecchi sgozzati nei letti rossi di sangue rappreso, e
un fetore insopportabile. Il fetore della decomposizione accelerato dal
caldo greve di settembre. Cinquecento morti, s’era detto all’inizio. Ma
presto i cinquecento erano diventati seicento, i seicento erano diventati
settecento, i settecento erano diventati ottocento, novecento, mille.
C’erano voluti due bulldozer per scavare la fossa comune, quasi un giorno
per buttarceli tutti…”
Sabra e Shatila - Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Sabra_e_Shatila)
Sabra e Shatila: La testimonianza di Oriana Fallaci
dal romanzo "Inshallah"
“Erano piombati alle nove d’un mercoledi’ sera, i falangisti di papā
Gemayel,…E con la complicitā degli israeliani, sempre lieti di soddisfare
la loro inesauribile sete di vendetta, avevano circondato I due quartieri
per bloccarne ogni via d’uscita. Una manovra cosi’ veloce, perfetta, che
pochi avevano avuto il tempo di nascondersi o tentare la fuga. Poi, fieri
della loro fede in Gesų Cristo e in San Marone e nella Madonna, protetti
dai figli d’Abramo che gli illuminavan la strada coi riflettori, erano
irrotti nelle case. S’erano messi ad ammazzare I disgraziati che a
quell’ora cenavano o guardavano la televisione o dormivano. Avevano
continuato tutta la notte. E tutto il giorno seguente. E tutta la notte
seguente, fino a venerdi mattina. Trentasei ore filate. Senza stancarsi,
senza fermarsi, senza che nessuno gli dicesse basta. Nessuno.Nč gli
israeliani, ovvio, nč gli sciiti che abitavano negli edifici attigui e che
dalle finestre vedevano bene l’obbrobrio. E fortunati gli uomini uccisi
subito a raffiche di mitra o colpi di baionetta , fortunati I vecchi
sgozzati nel letto per risparmiare le munizioni. Le donne, prima di
fucilarle o sgozzarle, le avevano violentate. Sodomizzate.
I loro corpi, zangole per dieci o venti stupratori per volta. I loro
neonati, bersagli per il tirassegno all’arma bianca o da fuoco:
intramontabile sport nel quale gli uomini, che si ritengono superiori alle
bestie, hanno sempre eccelso e che da qualche secolo viene chiamato
strage-di-Erode. Un ragazzo ferito era riuscito a scappare malgrado il
blocco delle vie d’uscita e a rifugiarsi nel piccolo ospedale che tre
medici svedesi gestivano di fronte a Shatila. Ma I soldati di Erode lo
avevan raggiunto e liquidato mentre giaceva sul tavolo operatorio. Spintone
al chirurgo che estrae la pallottola, revolverata alla tempia
dell’infermiera palestinese che cerca di opporsi e via. All’alba di
venerdi, stanchi di dargli la caccia e ammazzarli uno a uno , avevano
minato le case nelle cui cantine s’erano nascosti i superstiti. Quasi tutte
case di Chatila. Poi avevano lasciato il quartiere cantando spavalde
canzoni di guerra e lasciandosi dietro un carnaio da film dell’orrore.
Bambini di due o tre anni che ciondolavano dalle travi delle case esplose
come polli spennati e appesi ai ganci di una macelleria. Neonati
spiaccicati o tagliati in due, mamme intirizzite nell’inutile gesto di
ripararli. Cadaveri seminudi di donne coi polsi legati e le natiche sozze
di sperma e di sterco. Cataste di uomini fucilati e coperti di topi che gli
mangiavano il naso, gli occhi, gli orecchi. Intere famiglie riverse sulle
tavole apparecchiate, vecchi sgozzati nei letti rossi di sangue rappreso, e
un fetore insopportabile. Il fetore della decomposizione accelerato dal
caldo greve di settembre. Cinquecento morti, s’era detto all’inizio. Ma
presto i cinquecento erano diventati seicento, i seicento erano diventati
settecento, i settecento erano diventati ottocento, novecento, mille.
C’erano voluti due bulldozer per scavare la fossa comune, quasi un giorno
per buttarceli tutti…”