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Primi passi
verso cosa?????? non saprei di preciso ma non mi piace
giudicate voi
Oggi in CDA le nuove linee guida approvate dall'AgCom, un organismo politico sanzionerà le voci fuori dal coro. La rinascita del MinCul-Pop fascista è nascosta tra le pagine delle linee guida approvate dall’Agcom. Senza perifrasi.
L’Autorità allarga la sua influenza per restringere la libertà della Rai, subordinata al controllo di un comitato esterno all’azienda, selezionato su parere del ministero dello Sviluppo economico. Volontà di Claudio Scajola. Comando del governo. Articolo 3, punto 31: “Il sistema di valutazione della qualità dell’offerta – si legge – dovrà essere realizzato sulla base degli appositi indicatori previsti dal contratto di servizio e dovrà essere sottoposto alla vigilanza di un organismo esterno, composto da esperti qualificati in materia, scelti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni d’intesa con il ministero e nominati dalla Rai”. Entro tre mesi dall’entrata in vigore del contratto di servizio, oggi sul tavolo del Cda. Da marzo e per tre anni, agitando la sciabola della censura e delle sanzioni, questi “esperti” dovranno stabilire i labili confini della qualità. Il presidente Corrado Calabrò intende picchettare il deserto, ridisegnare l’autonomia della Rai e asservirla al Consiglio dei ministri: “Compete all’Autorità la mancata osservanza da parte della Rai degli indirizzi impartiti”. Un passaggio coatto di competenze: nella pletorica burocrazia di viale Mazzini, tra pesi e contrappesi, l’Agcom esonda per favorire il governo e sterilizzare la commissione di Vigilanza parlamentare. L’avvocato Domenico d’Amati, consulente di diritto del lavoro, rintraccia nel testo il progetto eversivo e l’obbrobrio giuridico: “L’affidamento dei poteri all’Agcom e al ministero delle Comunicazioni finisce per attribuire al governo un potere di intervento sull’informazione e la programmazione televisiva, in contrasto con i principi ripetutamente affermati dalla Corte Costituzionale, secondo cui l’emittente pubblica deve essere soggetta soltanto al controllo del Parlamento. Con la creazione dell’organismo esterno si realizzerebbe l’obiettivo di reincarnare, dopo 70 anni, il defunto MinCul-Pop”. Ai telespettatori sarà impedito di giudicare cambiando canale oppure protestare tramite le associazioni di consumatori; l’Agcom s’arroga il diritto di interpretare la “sensibilità” e tutelare “i principi di completezza e correttezza, obiettività, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e osservanza del contraddittorio da raggiungere nelle trasmissioni di informazione quotidiana e di approfondimento”.
Il messaggio è obliquo eppure chiaro: attenzione, voi che fate informazione – Annozero? – se pronunciate un pensiero “a” dovete ritrattarlo con un pensiero “b”. Non basta? “Ciò esige un’applicazione attenta della deontologia professionale del giornalista, coniugando il principio di libertà con quello di responsabilità”. Sul cocuzzolo che introduce la censura svetta l’Agcom, sorretta dal governo, ma in fondo s’ammassano confusione e masochismo. I giornalisti della Rai saranno legati dal nuovo contratto di servizio e osservati speciali dal comitato di controllo: poco importa, l’azienda pubblica rinuncia ai dati di ascolto. Non le interessa sopravvivere, perché ormai ha deciso di morire. Nonostante nei conti Rai siano scomparsi i previsti 300 milioni di pubblicità, coperti dal canone e da mutui bancari, l’Agcom consiglia di invertire la tendenza: “Più trasmissioni di programmi che non rientrano nell’offerta delle emittenti commerciali, anche attraverso la predisposizione di un piano strategico per il recupero dei generi culturali di nicchia, compresi il teatro, la musica sinfonica, la lirica, nelle tre reti generaliste, diversificando e segmentando l’audience”. Calabrò non teme l’esilio di Pirandello e Beckett, semmai annuncia una resa incondizionata a Mediaset: quale tv promuove le nicchie incurante dell’audience? Era previsto.
A Loris Mazzetti sovviene un episodio all’apparenza innocuo: “Ricordo che alla presentazione dei palinsesti – dice il dirigente Rai – il direttore generale Masi non pronunciò mai la parola concorrenza. Ora stanno scrivendo la fine della Rai”. E l’inizio delle purghe.
l'AnteFatto | Il Cannocchiale blog
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come sei loquace oggi
SECONDO ROUND
Ma cosa stiamo accettando veramente quando il ministro Bondi ci dice che La Prima linea non dovrebbe essere finanziato? A prima vista nulla. Può sembrare persino una civile opinione, e infatti molti giornali si sono accontentati di questa verità di facciata: una parvenza di civiltà, l’elemosina di un giudizio pacato. Il ministro ci dice che quel film non rappresenta “nessuna apologia del terrorismo”. E che tuttavia non ritiene giusto che ottenga un solo centesimo di denaro pubblico, tanto meno il milione e mezzo di euro che (sia pure sotto condizionamento) era stato promesso.
Se ci pensate bene, dietro questa successione di veti, condizioni, diritti ottriati, revocati o concessi, si nasconde una nuova sottile e più temibile forma di censura. Intanto stiamo accettando l’idea che il potere politico decida se un’opera d’arte debba essere finanziata o meno, e questo è sempre sbagliato. C’è anche una commissione, che giudicherà, certo. Io conosco molti di quegli esperti: non penso che persone del calibro di Laura Delli Colli, possano prendere ordini. Ma se il ministro si pronuncia prima, la decisione della commissione si fa subito più difficile, diventa in ogni caso conflittuale, e questo non è giusto. Se un ministro trasforma un giudizio tecnico in un problema politico, gli spazi di libertà sono drasticamente ridotti da questo pronunciamento. Per tutti.
Secondo problema. Dimenticatevi per un attimo di essere lo spettatore che stasera entra in un cinema. Immaginate di essere un produttore che domani vuole fare un film o un regista che si innamora di una storia. Da oggi, dovete sapere che vi attende un vaglio ancora peggiore di quello di una polverosa burocrazia ministeriale, o della lotteria di una commissione in cui i rapporti di forza fra i gusti dei componenti possono darvi una chance. No: adesso siete nelle mani della politica. Se volete essere sicuri di ottenere il fondo, dovete pensare un soggetto che istintivamente possa piacere a Bondi (e domani – peggio mi sento – alla Melandri o alla Binetti). Il che vuol dire che, sotto il formale rispetto delle forme o del galateo, siamo arretrati di settant’anni. E’ vero, Giulio Andreotti disse che c’erano “troppi stracci” in Ladri di biciclette, un pretore bloccò Ultimo tango a Parigi (e ne ordinò la distruzione), una commissione di censura dispose che il Salò di Pasolini fosse censurato. Persino i soft-core degli anni Sessanta finivano sotto le forbici occhiute dei pretori sessuofobi nel Veneto bianco. Ma anche tra le maglie del regime democristiano dei varchi si aprivano: De Sica ebbe successo malgrado Andreotti, Bertolucci non fu distrutto, i frammenti di celluloide con il burroso seno della Fenech è tornato al suo posto. Tagliato, ma ricomposto.
Bisogna davvero tornare al MinCulPop e al Ventennio mussoliniano – invece – per trovare un potere così forte della politica. Qui il taglio avviene alla fonte: non ti produco, non te lo faccio fare. Così in un paese in cui il fondo non è stato negato nemmeno a un’opera fondamentale come I miei primi quarant’anni di Marina Ripa di Meana, un ministro ci dice: questo film mi piace, ma siccome tratta un tema che per me è politicamente scomodo, non gli do una lira. E’ un potere di veto, che induce l’autocensura. Il che è gravissimo. Chi scrive non è tra i detrattori aprioristici di Sandro Bondi. Ma da stasera ci vorrebbe entrare nel club. Perché in un paese civile non si può passare dal MinCul-Pop al Minculbond.
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sempre peggio e il bello è che nessuno dice o fa nulla