la manovra serve per esimere per l'ennesima volta chi dovrebbe mettere soldi...alla faccia del "più impegno solidale e sociale tra stati" che sbandiera Draghi ad ogni intervista
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Tra l'altro è cosa vecchia di un paio d'anni. Approvata a giugno 2012.
Altro commento d'epoca Articolo Fondamentale: L'European Redemption Fund, è quasi-Realtà ( la Pietanza Tedesca di cui non si parla Mai) - Rischio Calcolato
Intendi esimere noi? Parrebbe proprio di si, visto che dopo il governo Prodi non so che numero più nessuno ha fatto diminuire il debito.
La moda del momento è di dare sempre la colpa a chi ha prestato i soldi, non ai debitori dissennati. :dubbio:
Mario Draghi da tempo auspica una unione europea economicamente "solidale"...solo che i nord europei con a capo i tedeschi non ci vogliono sentire...non a caso l'unione bancaria è esattamente quella voluta dal ministro delle finanze tedesco...i tedeschi non pagheranno nulla per la ristrutturazione delle banche estere e nessuna banca tedesca verrà mai chiusa … in poche parole la germania ha ottenuto tutto quello che voleva senza concedere nulla...idem per il fiscal compact...ha imposto la disciplina fiscale a tutta europa in cambio di niente
poi diventa facile avallare gli eurobond quando di tuo non tiri fuori un euro...
la moda del momento è mettere in piedi un sistema economico/finanziario grazie al quale facendo leva sul debito sovrano si mettono in crisi interi stati innescando scenari sociali degni di una guerra fatta a suon di bombe...è altrettanto di moda usare a proprio vantaggio tali scenari economici/finanziari per depredare con 4 soldi asset strategici dei paesi denominati piigs...interessante è notare chi sono i "compratori"
sarebbe interessante sapere anche il giorno esatto in cui siamo diventati "dissennati"...no perchè non è stato sempre così...
Visto che il limite è posto al 60% del PIL anche la Germania dovrebbe metterci qualcosa essendo se non sbaglio al 85%. Tra l'altro qualcuno ha già calcolato che per loro le condizioni sarebbero meno vantaggiose che per noi.
Milano - Tra le ipotesi di cui si parlerà al decisivo vertice europeo del 28-29 giugno ci sarà quella di costituire un "Fondo di redenzione" (Erf), presso il quale far confluire le quote dei debiti pubblici europei eccedenti la
soglia del 60%. All'Italia costerebbe in un primo momento l'8% delle entrate fiscali, quota che si ridurrebbe con il passare del tempo.
Ma quali sarebbero per noi le conseguenze e quali i vantaggi di un simile scenario? Il team londinese di Mediobanca Securities, guidato da Antonio Guglielmi, tenta di rispondere al quesito con una simulazione che si basa su alcune assunzioni: un costo di rifinanziamento dell'Erf pari al 3,25% annuo, un tasso di crescita reale medio annuo del Pil, nell'eurozona, di 1/1,5 punti percentuali, e un tasso di inflazione non oltre il 2%.
Il Fondo, nel modello elaborato, avrebbe, dal momento della costituzione, una vita residua di 25/30 anni, periodo sufficiente a "redimere" le quote eccedenti.
Per l'Italia si tratta di conferire la porzione maggiore, pari a circa 950 miliardi di euro: circa il 40% del totale, che ammonterebbe a 2.300 miliardi qualora dal Fondo venissero esclusi i paesi già sotto tutela congiunta di
Fmi e Ue (Portogallo, Irlanda, Grecia).
I vantaggi sarebbero consistenti: per la quota conferita, il paese trarrebbe risparmi sul rifinanziamento di 24 miliardi l'anno (1,5% del Pil). Ne godremmo più della Spagna (0,3% del Pil) in virtù del peso minore della quota madrilena, mentre la Germania dovrebbe sopportare un extra-costo pari allo 0,4% del prodotto.
Ma non è tutto oro quel che luccica: i paesi aderenti sarebbero sottoposti a una stretta condizionalità: una parte delle entrate fiscali dovrebbe esser destinata a ripagare le quote in maturazione dello stock trasferito, in modo da annullare il carico totale nei termini stabiliti.
Gli stati dovrebbero anche immobilizzare collaterali a garanzia dell'Erf, pari almeno al 20% dell'importo confluito. Il collaterale verrebbe "sbloccato" solo ad "espiazione" raggiunta.
Mediobanca stima che, per l'Italia, durante i primi anni di attività dell'Erf, circa l'8% delle entrate fiscali dovrebbe essere asservito al meccanismo di redenzione, ma la percentuale si ridurrebbe con il passare degli anni, riducendosi a meno del 3% nell'ultimo decennio di vita del Fondo.
In termini di budget, i vincoli alle spese sarebbero stringenti. E i tagli draconiani: se l'Erf fosse entrato in vigore nel 2011, il Belpaese avrebbe dovuto sforbiciare la spesa di ben 16 punti percentuali, mentre necessiterebbe di un avanzo primario pari – in media – al 4% annuo, per più di due decenni, al fine di redimere interamente la propria quota.
Basti pensare che, con i sacrifici sostenuti dagli italiani nel 2011, l'avanzo al netto degli interessi è stato pari all'1% del Pil. Certo, si tratta pur sempre di una stima, ma indicativa dei costi approssimativi di una simile strategia.
L'Italia, nel passato, ha già dato dimostrazione di poter mantenere avanzi primari per periodi prolungati, ma bloccare il bilancio per quasi tre decenni sembra una sfida di portata immane, anche dal punto di vista politico.
Per questo, secondo Guglielmi, un piano di drastica riduzione dello stock del debito, da effettuare per mezzo di cessioni del patrimonio pubblico, potrebbe affiancare l'Erf, riducendo il rigore di bilancio anno per anno, e i sacrifici per i contribuenti.
Per questo, secondo Guglielmi, un piano di drastica riduzione dello stock del debito, da effettuare per mezzo di cessioni del patrimonio pubblico, potrebbe affiancare l'Erf, riducendo il rigore di bilancio anno per anno, e i sacrifici per i contribuenti.
Quando leggo "cessione del patrimonio pubblico", comunque, non riesco a non intendere "inculata garantita".