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Risultati da 81 a 90 di 172

Discussione: lutto nazionale-NO DA DECINE DI SCUOLE

  1. #81
    RAT Pack Leader Lucca L'avatar di D74
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    Citazione Originariamente Scritto da D74 Visualizza Messaggio
    alla fine troppo spesso basta l'apparenza.

    non è il minuto di silenzio che fa la differenza. A troppi basta fare quel minuto casomai senza nemmeno pensare cosa rappresenta per sentirsi in pace....
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  3. #82
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    Perchè i militari devono avere tessere nere per forza?

    O la famosa bandiera con cui molti nazi si riempiono la bocca?

  4. #83
    TCP Rider Senior L'avatar di Medoro
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    Citazione Originariamente Scritto da Gabro Visualizza Messaggio
    Perchè i militari devono avere tessere nere per forza?

    O la famosa bandiera con cui molti nazi si riempiono la bocca?
    te figliuolo mio sei partito con il piede sbagliato,la dichiarazione di prima e poi anche quello sull'altro post e poi ci aggiunge questa,qui x rigare dritto bisogna essere più schierati dall'altra parte altrimenti ne vedremo delle belle

  5. #84
    TCP Rider Senior L'avatar di Antriple
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    Citazione Originariamente Scritto da losvizzero Visualizza Messaggio
    per favore,questa e retorica pura.....a cader nel banale potrei citarti di tutti quei poveracci che muoiono per le armi che si producono in italia
    non è forse retorica tutto quello di cui stiamo parlando oggi, non siamo forse partiti da un semplice minuto, mica 10 100 1000€, che avremmo dovuto dedicare a queste vittime così come abbiamo fatto negli altri casi, quando nel feretro c'erano 2966 morti delle torri gemelle, o i vigli del fuoco di via ventotene e di altre mille episodi, e solo un minuto di raccoglimento che ci indigna, e pur di accreditare la propria tesi siamo arrivati a dire lo fanno per soldi, vanno ad arrotondare, sapevano di rischiare! Certe volte ci dovremmo fare schifo da soli e tutti questi benpensanti, senza un minimo di cultura professano la propria ragione illuminata sulla cassa di sei ragazzi inermi

    abbandono il post!

  6. #85
    TCP Rider L'avatar di Vedder
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    Citazione Originariamente Scritto da Medoro Visualizza Messaggio
    qui x rigare dritto bisogna essere più schierati dall'altra parte altrimenti ne vedremo delle belle
    Però vedo che siete sempre un bel gruppetto accanito anche voi
    Non siete proprio 4 gatti

  7. #86
    TCP Rider Senior L'avatar di Medoro
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    Citazione Originariamente Scritto da Luca BB Visualizza Messaggio
    Però vedo che siete sempre un bel gruppetto accanito anche voi
    Non siete proprio 4 gatti
    apri un sondaggio e ne riparliamo

  8. #87
    TCP Rider L'avatar di Marce63
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    Bonneville silver i.e....una volta🙁
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    Piccolo contributo

    Ciao a tutti,
    forse può essere un utile contributo.....è un po' lungo ma credo valga la pena leggerlo.
    Nel mio piccolo lo quoto.

    Quel sangue del Sud versato per il Paese
    di ROBERTO SAVIANO

    Vengo da una terra di reduci e combattenti. E l’ennesima strage di soldati non l’accolgo con la sorpresa di chi, davanti a una notizia particolarmente dolorosa e grave, torna a includere una terra lontana come l’Afghanistan nella propria geografia mentale. Per me quel territorio ha sempre fatto parte della mia geografia, geografia di luoghi dove non c’è pace. Gli italiani partiti per laggiù e quelli che restano in Sicilia, in Calabria o in Campania per me fanno in qualche modo parte di una mappa unica, diversa da quella che abbraccia pure Firenze, Torino o Bolzano.

    Dei ventun soldati italiani caduti in Afghanistan la parte maggiore sono meridionali. Meridionali arruolati nelle loro regioni d’origine, o trasferiti altrove o persino figli di meridionali emigrati. A chi in questi anni dal Nord Italia blaterava sul Sud come di un’appendice necrotizzata di cui liberarsi, oggi, nel silenzio che cade sulle città d’origine di questi uomini dilaniati dai Taliban, troverà quella risposta pesantissima che nessuna invocazione del valore nazionale è stato in grado di dargli. Oggi siamo dinanzi all’ennesimo tributo di sangue che le regioni meridionali, le regioni più povere d’Italia, versano all’intero paese.

    Indipendentemente da dove abitiamo, indipendente da come la pensiamo sulle missioni e sulla guerra, nel momento della tragedia non possiamo non considerare l’origine di questi soldati, la loro storia, porci la domanda perché a morire sono sempre o quasi sempre soldati del Sud. L’esercito oggi è fatto in gran parte da questi ragazzi, ragazzi giovani, giovanissimi in molti casi. Anche stavolta è così. Non può che essere così. E a sgoccioli, coi loro nomi diramati dal ministro della Difesa ne arriva la conferma ufficiale. Antonio Fortunato, trentacinque anni, tenente, nato a Lagonegro in Basilicata. Roberto Valente, trentasette anni, sergente maggiore, di Napoli. Davide Ricchiuto, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato a Glarus in Svizzera, ma residente a Tiggiano, in provincia di Lecce. Giandomenico Pistonami, ventisei anni, primo caporalmaggiore, nato ad Orvieto, ma residente a Lubriano in provincia di Viterbo. Massimiliano Randino, trentadue anni, caporalmaggiore, di Pagani, provincia di Salerno. Matteo Mureddu, ventisei anni, caporalmaggiore, di Solarussa, un paesino in provincia di Oristano, figlio di un allevatore di pecore. Due giorni fa Roberto Valente stava ancora a casa sua vicino allo stadio San Paolo, a Piedigrotta, a godersi le ultime ore di licenza con sua moglie e il suo bambino, come pure Massimiliano Radino, sposato da cinque anni, non ancora padre.

    Erano appena sbarcati a Kabul, appena saliti sulle auto blindate, quei grossi gipponi “Lince” che hanno fama di essere fra i più sicuri e resistenti, però non reggono alla combinazione di chi dispone di tanto danaro per imbottire un’auto di 150 chili di tritolo e di tanti uomini disposti a farsi esplodere. Andando addosso a un convoglio, aprendo un cratere lunare profondo un metro nella strada, sventrando case, macchine, accartocciando biciclette, uccidendo quindici civili afgani, ferendone un numero non ancora precisato di altri, una sessantina almeno, bambini e donne inclusi.

    E dilaniando, bruciando vivi, cuocendo nel loro involucro di metallo inutilmente rafforzato i nostri sei paracadutisti, due dei quali appena arrivati. Partiti dalla mia terra, sbarcati, sventrati sulla strada dell’aeroporto di Kabul, all’altezza di una rotonda intitolata alla memoria del comandante Ahmad Shah Massoud, il leone del Panjshir, il grande nemico dell’ultimo esercito che provò ad occupare quell’impervia terra di montagne, sopravvissuto alla guerra sovietica, ma assassinato dai Taliban. Niente può dirla meglio, la strana geografia dei territori di guerra in cui oggi ci siamo svegliati tutti per la deflagrazione di un’autobomba più potente delle altre, ma che giorno dopo giorno, quando non ce ne accorgiamo, continua a disegnare i suoi confini incerti, mobili, slabbrati. Non è solo la scia di sangue che unisce la mia terra a un luogo che dalle mie parti si sente nominare storpiato in Affanìstan, Afgrànistan, Afgà. E’ anche altro. Quell’altro che era arrivato prima che dai paesini della Campania partissero i soldati: l’afgano, l’hashish migliore in assoluto che qui passava in lingotti e riempiva i garage ed è stato per anni il vero richiamo che attirava chiunque nelle piazze di spaccio locali. L’hashish e prima ancora l’eroina e oggi di nuovo l’eroina afgana. Quella che permette ai Taliban di abbondare con l’esplosivo da lanciare contro ai nostri soldati coi loro detonatori umani.

    E’ anche questo che rende simili queste terre, che fa sembrare l’Afganistan una provincia dell’Italia meridionale. Qui come là i signori della guerra sono forti perché sono signori di altro, delle cose, della droga, del mercato che non conosce né confini né conflitti. Delle armi, del potere, delle vite che con quel che ne ricavano, riescono a comprare. L’eroina che gestiscono i Taliban è praticamente il 90% dell’eroina che si consuma nel mondo. I ragazzi che partono spesso da realtà devastate dai cartelli criminali hanno trovato la morte per mano di chi con quei cartelli criminali ci fa affari. L’eroina afgana inonda il mondo e finanzia la guerra dei Taliban. Questa è una delle verità che meno vengono dette in Italia. Le merci partono e arrivano, gli uomini invece partono sempre senza garanzia di tornare. Quegli uomini, quei ragazzi possono essere nati nella Svizzera tedesca o trasferiti in Toscana, ma il loro baricentro rimane al paese di cui sono originari. È a partire da quei paesini che matura la decisione di andarsene, di arruolarsi, di partire volontari. Per sfuggire alla noia delle serate sempre uguali, sempre le stesse facce, sempre lo stesso bar di cui conosci persino la seduta delle sedie usurate. Per avere uno stipendio decente con cui mettere su famiglia, sostenere un mutuo per la casa, pagarsi un matrimonio come si deve, come aveva già organizzato prima di essere dilaniato in un convoglio simile a quello odierno, Vincenzo Cardella, di San Prisco, pugile dilettante alla stessa palestra di Marcianise che ha appena ricevuto il titolo mondiale dei pesi leggeri grazie a Mirko Valentino. Anche lui uno dei ragazzi della mia terra arruolati: nella polizia, non nell’esercito. Arruolarsi, anche, per non dover partire verso il Nord, alla ricerca di un lavoro forse meno stabile, dove sono meno certe le licenze e quindi i ritorni a casa, dove la solitudine è maggiore che fra i compagni, ragazzi dello stesso paese, della stessa regione, della stessa parte d’Italia. E poi anche per il rifiuto di finire nell’altro esercito, quello della camorra e delle altre organizzazioni criminali, quello che si gonfia e si ingrossa dei ragazzi che non vogliono finire lontani.

    E sembra strano, ma per questi ragazzi morti oggi come per molti di quelli caduti negli anni precedenti, fare il soldato sembra una decisione dettata al tempo stesso da un buon senso che rasenta la saggezza perché comunque il calcolo fra rischi e benefici sembra vantaggioso, e dalla voglia di misurarsi, di dimostrare il proprio valore e il proprio coraggio. Di dimostrare, loro cresciuti fra la noia e la guerra che passa o può passare davanti al loro bar abituale fra le strade dei loro paesini addormentati, che “un’altra guerra è possibile”. Che combattere con una divisa per una guerra lontana può avere molta più dignità che lamentarsi della disoccupazione quasi fosse una sventura naturale e del mondo che non gira come dovrebbe, come di una condizione immutabile.

    Sapendo che i molti italiani che li chiameranno invasori e assassini, ma pure gli altri che li chiameranno eroi, non hanno entrambi idea di che cosa significhi davvero fare il mestiere del soldato. E sapendo pure che, se entrambi non ne hanno idea e non avrebbero mai potuto intraprendere la stessa strada, è perché qualcuno gliene ne ha regalate di molto più comode, certo non al rischio di finire sventrati da un’autobomba. Infatti loro, le destinazioni per cui partono, non le chiamano “missione di pace”.

    Forse non lo sanno sino in fondo che nelle caserme dell’Afghanistan possono trovare la stessa noia o la stessa morte che a casa. Ma scelgono di arruolarsi nell’esercito che porta la bandiera di uno Stato, in una forza che non dispone della vita e della morte grazie al denaro dei signori della guerra e della droga. Per questo, mi augurerei che anche chi odia la guerra e ritiene ipocrita la sua ridefinizione in “missione di pace”, possa fermarsi un attimo a ricordare questi ragazzi. A provare non solo dolore per degli uomini strappati alla vita in modo atroce, ma commemorarli come sarebbe piaciuto a loro. A onorarli come soldati e come uomini morti per il loro lavoro. Quando è arrivata la notizia dell’attentato, un amico pugliese mi ha chiamato immediatamente e mi ha detto: “Tutti i ragazzi morti sono nostri”. Sono nostri è come per dire sono delle nostre zone. Come per Nassiriya, come per il Libano ora anche per Kabul. E che siano nostri lo dimostriamo non nella retorica delle condoglianze ma raccontando cosa significa nascere in certe terre, cosa significa partire per una missione militare, e che le loro morti non portino una sorta di pietra tombale sulla voglia di cambiare le cose. Come se sui loro cadaveri possa celebrarsi una presunta pacificazione nazionale nata dal cordoglio. No, al contrario, dobbiamo continuare a porre e porci domande, a capire perché si parte per la guerra, perché il paese decide di subire sempre tutto come se fosse indifferente a ogni dolore, assuefatto ad ogni tragedia.

    Queste morti ci chiedono perché tutto in Italia è sempre valutato con cinismo, sospetto, indifferenza, e persino decine e decine di morti non svegliano nessun tipo di reazione, ma solo ancora una volta apatia, sofferenza passiva, tristezza inattiva, il solito “è sempre andata così”. Questi uomini del Sud, questi soldati caduti urlano alle coscienze, se ancora ne abbiamo, che le cose in questo paese non vanno bene, dicono che non va più bene che ci si accorga del Sud e di cosa vive una parte del paese solo quando paga un alto tributo di sangue come hanno fatto oggi questi sei soldati. Perché a Sud si è in guerra. Sempre.

  9. #88
    TCP Rider Senior L'avatar di massimio
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    Citazione Originariamente Scritto da Gabro Visualizza Messaggio
    Perchè i militari devono avere tessere nere per forza?

    O la famosa bandiera con cui molti nazi si riempiono la bocca?

    beh.....beh....beh...........mi stai simpatico
    che rumore fa la felicita'
    la pazienza e' la virtu' di chi non ha un caz@zo da fare
    storie di chi rimane e di chi invece lascia tutto e se ne va.....

  10. #89
    TCP Rider L'avatar di Vedder
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    Citazione Originariamente Scritto da Medoro Visualizza Messaggio
    apri un sondaggio e ne riparliamo
    saremmo equamente divisi come alle politiche... non credo si discosti molto da quello che è la realtà del nostro paese.
    50 e 50 secondo me.

  11. #90
    TCP Rider Senior L'avatar di tonidaytona
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    Citazione Originariamente Scritto da ett69 Visualizza Messaggio
    ciao

    quando diciamo che la formazione (seria) di un giovane deriva soprattutto dall'esempio degli adulti e dall'insegnamento nelle scuole se l'esempio e l'insegnamento sono quelli di questi adulti e di queste scuole poi non lamentiamoci delle nuove generazioni e del fatto che non hanno + rispetto per niente e nessuno

    ettore
    Caro Ettore sono indignato.

    che vergogna di paese e' diventato questo.

    fa bene la Gelmini a voler ripulire le nostre scuole da questa vergogna di persone che dovremmo pure pagare per insegnare ai nostri figli a crescere come emeriti ricoglioniti senza valori e senso della nazione.

    mi viene da vomitare.
    quei presidi andrebbero sospesi.

    vergogna!!!!
    Le luci delle moto, se viste da lontano, hanno qualcosa di fatato – il faro anteriore che illumina la strada e la luce rossa del posteriore – e tanto sul Gardetta quanto sulla Cannoni è possibile vedere chi ci precede da grandi distanze: sembrano dei pesci luminosi, sospesi nelle profondità degli abissi oceanici.

    Hat 2013 Motociclismo

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