Il suo sguardo forte e determinato infonde fiducia....lo chiamano
el loco...
Facilmente adattabile all'ambiente al quale è chiamato
è in grado di plasmarlo e renderlo parte di un progetto.
Un'alchimia che gli riesce spesso: anche se gli è mancata proprio nel momento più importante della sua carriera, nel 2002, quando gestì un'Argentina mutevole più di lui che fallì l'impresa Mondiale.
Questa sua capacità di adattarsi e di adattare gli è valso un altro soprannome oltre a "El Loco", il matto: che è "il virus". Noi siamo abituati a considerare le forme virali qualcosa di brutto, da combattere con anticorpi e medicine. Bielsa è un virus buono, capace di riportare entusiasmo in ambienti ormai stanchi, o bisognosi di una scarica di adrenalina e di una ventata di novità.
Il che gli crea sempre qualche problema negli spogliatoi all'interno dei quali non ha alcuna difficoltà a scontrarsi in modo anche frontale con chi gli sbarra la strada. E comunque ciò non toglie che
la stragrande maggioranza dei giocatori che lo hanno avuto come tecnico stravedano per lui. Uno di questi è Zanetti che in tempi non sospetti, e cioè quando Mourinho era ancora alla guida dell'Inter, già disse che c'era un solo allenatore simile al portoghese: e fece il nome di Bielsa.
Marcelo Bielsa tuttavia è molto diverso da Mourinho per molti aspetti: parla poco, non concede interviste, si sottomette alla conferenza stampa come a una sorta di rito sacrificale necessario. Sbotta di rado: ma quando lo fa un titolo sul livello dello "zero tituli" o del "por que" di qualche tempo fa lo regala di sicuro.
Nato a Rosario, vive in una meravigliosa casa in campagna, dove ama allevare cani e cavalli: l'agiografia ci dice che è proprio qui che prova a più riprese gli schemi che gli vengono in mente; e lo fa su un campo regolamentare protetto da altissime siepi che si è fatto costruire apposta.
Bielsa vive il calcio come un'ossessione: il futbol è la sua unica ragione di vita. In Argentina dopo il 2002 furono proprio i senatori fedeli a chiedere al presidente dell'AFA di lasciarlo lavorare... Gli argentini gli perdonarono lo scacco matto del 2002 solo con la conquista del titolo olimpico (l'unico che il Brasile non ha mai conquistato e del quale sono orgogliosissimi), ma non fu abbastanza per trattenerlo. Andò in Cile e prese una nazionale da ricostruire da zero facendo giocare moltissimi giovani e lasciando un'impronta forse indelebile:
per tutti i tifosi della Roja Bielsa è un idolo, un intoccabile. Anche per il modo in cui ha deciso di andarsene:
è uno dei tecnici più vincenti nella storia del calcio cileno, 60.1% di punti conquistati, 28 vittorie, 6 pareggi e 15 sconfitte.
Il giorno della conferenza stampa d'addio, dimettendosi con un contratto fino al 2015 per restare al momento disoccupato, ha lasciato il campo di allenamento Pinto Duran, la Coverciano cilena, con la macchina piena di appunti, libri, quaderni, due scatoloni di dvd e un paio di borsoni con qualche vestito. Ha lasciato tutto quello che, secondo lui, era proprietà della federazione cilena: la tuta di allenamento, la divisa ufficiale, persino un televisore al plasma che gli era stato regalato... "Non vorrei mai che qualcuno domani pensasse che l'ho rubato, basta dirlo una sola volta di una persona per portare a pensare che sia stato un ladro per tutta la vita".
Bielsa è frugale, onesto ai limiti dell'indecenza nel calcio dei nostri giorni: è uno capace di andare dal presidente federale cileno e dirgli "se ritenete che la squadra non abbia giocato bene riducetemi pure lo stipendio"... ovviamente glielo avevano aumentato. O di chiedere la rescissione contrattuale "perché credo di aver fatto tutto quello che potevo e non ha senso che prenda altri quattro anni di stipendio se so di non potere dare nulla di più". E ovviamente la federcalcio cilena gli offrì altri soldi, molti altri soldi, per restare: soldi che rifiutò.
Ma è anche capace di affrontare a muso duro un paio di giocatori che hanno voglia di lavorare poco urlando "io qui corro 365 giorni all'anno, a te chiedo di correre solo per 90' ogni tre-quattro giorni, se non lo fai sei fuori da questa squadra". I giocatori che amano il calcio, la cultura del lavoro, il sacrificio e l'idea di gruppo, quelle basi sulle quali Mourinho ha rinsaldato il rapporto tra l'Inter e i suoi tifosi, creando una squadra sotto un certo punto di vista irripetibile, lo adorano.
Lo adora anche Guardiola, che si ispira a lui soprattutto sulla logica del possesso palla e dei movimenti smarcanti.
Bielsa ha evoluto il suo concetto di calcio con l'evolversi del gioco, in qualche caso influenzandolo profondamente.
Il suo è un calcio totale, votato all'attacco: negli anni ha espresso un ottimo 3-4-1-2 che gli vale il suo primo titolo a soli 37 nel Newell's Old Boys, la squadra di Rosario che lo fece esordire in panchina con la seconda squadra e che due anni fa gli ha dedicato il suo stadio. Poi un 3-4-3 in Messico, prima all'Atlas e poi all'America dove gli offrono anche la panchina della nazionale (che lui rifiuta), poi di nuovo un 3-4-1-2 al Velez Sarsfield dove conquista il titolo di clausura nel 1998.
Dove va vince: ma quello che Bielsa vuole allenare è la nazionale argentina. La vuole, la ottiene e la mantiene in un clima di pressioni mostruose per quasi sei anni: dopo Bilardo e Menotti è il CT più longevo della storia recente dell'albiceleste, l'unico che ha resistito così tanto pur senza aver vinto un Mondiale.
Bielsa nel frattempo trasforma le sue idee: ritiene il calcio ormai troppo atletico e veloce per impostare le squadre con quattro centrocampisti, ce ne vogliono tre. E la mezzapunta deve arretrare, per tenere il gioco più largo e profondo. Occorre più profondità d'azione per tenere palla e occupare il campo "la squadra va allungata, e il campo va occupato con movimenti trasversali" si legge tra i suoi appunti che confezionano una delle migliori squadre degli ultimi anni, il Cile. Movimento senza palla in orizzontale e rilanci nel corridoio su tutto l'arco dei 60 metri orizzontali. Pressing asfissiante, spinta totale: nasce il 3-3-1-3. Se funziona è roba da diventare matti: il Cile, nelle sue giornate migliori, era capace di non dare tregua a nessun avversario. In Sudafrica esce sconfitto 3-0 negli ottavi dal Brasile, ma esce a testa alta.
Attentissimo al settore giovanile, pronto a scaraventare un campo un ragazzino in qualsiasi momento se pensa che possa servire alla squadra, 'el Loco' ha un'unica debolezza: il maniacale perfezionismo.... Le sue sessioni di allenamento, soprattutto a inizio stagione sono lunghe, molto spesso doppie.
Secondo Bielsa ci sono almeno 45 modi di battere un calcio d'angolo, e una trentina di battere una rimessa laterale, oltre a un'infinità di variabili sui calci di punizione a seconda della distanza della palla dall'arco di cerchio dell'area di rigore o dai vertici della scatola ai sedici metri. Alle sue squadre fa provare qualsiasi cosa, e prima di ogni partita inserisce un paio di variabili: giusto per tenere la mente allenata.
Un allenatore umile e di grande personalità, non roboante come Mourinho e che sicuramente farà vendere qualche giornale in meno del Mou, ma che sa come conquistare lo spogliatoio. Il pubblico non è affar suo: ma in Cile ha conquistato anche quello. Applausi nella sala stampa che lo saluta. Canzoni celebrative (uno dei singoli di maggiore successo degli ultimi anni è "Dale Loco", un brano di un gruppo locale).
Non è elegante, non nel senso classico di Mou, ma è affascinante, con i suoi 55 anni, gli occhiali che penzolano dal cordino appeso al collo e la pancetta; persino con il suo parlare sommesso davanti ai giornalisti, gli occhi fissi sul tavolo e la testa sicuramente sul campo.
Sarebbe una bella scommessa, potenzialmente molto più affascinante di quella giocata per avere Mourinho, sicuramente più economica e probabilmente più di prospettiva.
A Bielsa serve tempo per creare le sue alchimie: affinché il suo virus attecchisca occorre pazienza, e lavoro.
Ma chi è questo Bielsa...? - Yahoo! Eurosport IT