Negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia non esisteva una normativa che regolamentasse l’esercizio della farmacia.
La legge Crispi (legge 22 dicembre 1888, n. 5849) rappresentò il primo passo per uniformare nel territorio nazionale tale materia. All'epoca il farmacista che assumeva la qualifica di "Speziale" era colui che preparava, con il medico, i medicamenti necessari per la cura della malattia.
La legge Crispi si ispirò principalmente alla massima libertà nell'apertura ed esercizio delle farmacie, senza limiti a carico del proprietario che poteva non essere laureato ed avere la proprietà su più farmacie, con il solo obbligo della direzione responsabile di un farmacista. Tutto ciò provocò nell'arco di un ventennio una elevatissima concentrazione di farmacie nelle grandi città o nei centri altamente popolati ed il parallelo abbandono dei centri a bassa densità di popolazione.
Nel 1913, con la riforma Giolitti (Legge del 22 maggio 1913, n. 468), si afferma il principio che l'assistenza farmaceutica alla popolazione, e quindi l'esercizio della farmacia, è un'attività primaria dello Stato, esercitata direttamente dallo stesso attraverso gli Enti locali (comuni), oppure delegata a privati per l'esercizio, in regime di concessione governativa. Si passa, quindi, da un diritto di natura patrimoniale ad un diritto di natura ordinaria: l'esercizio farmaceutico è una concessione governativa "ad personam", ottenuta attraverso concorso pubblico, per esami, senza possibilità d'acquisto, vendita, o trasferimento per successione. La concessione durava quanto la vita del titolare.
Fu istituita la pianta organica per l'apertura di nuove farmacie, secondo un criterio che si basava sul numero di residenti; l'apertura delle farmacie non era più discrezionale, ma avveniva sulla base della pianta organica delle sedi farmaceutiche.
La legge Giolitti, rappresentò uno strumento legislativo estremamente importante per la successiva stesura del Testo unico delle leggi sanitarie in materia di servizio farmaceutico, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e del Regolamento per il servizio farmaceutico, approvato con il regio decreto 30 settembre 1938, n. 1706.
L'ordinamento Giolitti restò in vigore sino al 1968, quando le leggi 221/68 e 475/68 (Riforma Mariotti), apportarono diverse e sostanziali modifiche all'istituto della farmacia. Tale riforma reintroduce la facoltà di trasferire le farmacie, condizionandola però ad un insieme di vincoli e limitazioni, successivamente modificati dalla legge 362/91. Con tale riforma si è stabilito il diritto di trasferire una concessione dello Stato, conseguita per concorso, contestualmente alla vendita dell’esercizio commerciale. Il trasferimento all'inizio era consentito solo ai privati e vietato per le farmacie comunali, ma nel 1991 è stata definitivamente consentita la vendibilità anche delle farmacie gestite dal Comune.
L'intervento pubblico, che era del tutto discrezionale nell'ordinamento precedente, è ricondotto nell'ambito della pianta organica, mediante il diritto di prelazione da parte dei Comuni sul 50% delle farmacie da porre a concorso.
La gestione della farmacia deve essere diretta e personale da parte del titolare. La conduzione economica è inscindibile dalla gestione professionale. Il concorso non è più espletato per soli titoli, ma per titoli ed esami, con prevalenza di questi ultimi nella determinazione del punteggio, e con una maggiorazione del punteggio nella valutazione dei titoli per quei farmacisti che abbiano prestato la loro opera nelle farmacie rurali, proporzionato al loro livello professionale.
La legge 833 del 23.12.1978 stabilisce che i rapporti fra farmacie pubbliche e private con S.S.N. sono disciplinate da una Convenzione (Accordo Nazionale triennale), stipulato fra le associazioni di categoria e le Regioni. La legge di riforma riafferma un principio già contenuto nell'articolo 122 del TULS 1934, cioè l'attribuzione esclusiva al farmacista e alla farmacia d'ogni competenza e funzione nella dispensazione dei farmaci al pubblico. Difatti, nel dare facoltà alla USL, ai suoi presidi e servizi, di acquistare direttamente medicamenti dal produttore, in deroga alla disciplina generale, vieta agli stessi ogni forma di distribuzione al pubblico, che deve continuare ad essere effettuata esclusivamente tramite le farmacie.
Con la legge 22 dicembre 1984, n. 892 sono state apportate delle significative modifiche in materia di farmacie. L'idoneità alla titolarità, requisito indispensabile all'acquisto o al trasferimento per successione, diventa conseguibile sia partecipando ad un pubblico concorso e superando la relativa prova, sia mediante due anni di pratica professionale certificata dall'Autorità Sanitaria Locale; il periodo in cui il farmacista che abbia ceduto la propria farmacia, può ricomprarne un'altra, per una sola volta nella sua vita, è elevato da uno a due anni; il periodo di gestione provvisoria in caso di morte del titolare, qualora il figlio o il coniuge superstite risultino iscritti alla Facoltà di Farmacia è portato da sei a sette anni; il limite della distanza dalla farmacia più vicina, in caso d'adozione del criterio topografico, per la formazione o revisione della pianta organica, è elevato da 500 a 1000 metri.
La legge di riordino del settore farmaceutico del 8.11.1991, n. 362 apporta alcune modifiche ai principi introdotti dalla riforma Mariotti.
La titolarità della farmacia è estesa anche alle società di persone, sebbene con vincoli precisi e purché tutti i soci siano farmacisti iscritti all'Albo e idonei alla titolarità. Viene mantenuta la pianta organica, ma ne sono modificati alcuni criteri di formazione con particolare riguardo all'introduzione del criterio urbanistico, relativo al decentramento delle farmacie. Si stabilisce che vi sia una farmacia 5000 abitanti nei comuni con popolazione fino 12.500 abitanti e una ogni 4000 abitanti negli altri comuni.
Con tale legge di riordino permane la distinzione tra farmacie urbane (farmacie situate in comuni o centri abitati con popolazione superiore a 5.000 abitanti) e rurali (farmacie ubicate in comuni, frazioni o centri abitati con popolazione non superiore a 5.000 abitanti.) prevista dall'art. 1 della legge 8 marzo 1968, n. 221, recante "provvidenze a favore dei farmacisti rurali", così come permane l'indennità di residenza, divisa in tre fasce, per quelle farmacie che sono ubicate in Comuni sino a 3.000 abitanti.
Vengono ampliate le norme relative alla successione: si prevede un'estensione a tre anni del periodo di gestione provvisoria che può intercorrere tra la morte del titolare e l'assegnazione della nuova titolarità.; il periodo per l'erede iscritto alla facoltà di farmacia è esteso da sette a dieci anni e viene stabilita la possibilità per l'erede in linea retta entro al secondo grado (cioè rapporti padre-figlio e nonno-nipote) di mantenere la farmacia fino al compimento del trentesimo anno di età.
L'articolo 2 della nuova legge stabilisce che il limite di distanza per l'apertura di nuove farmacie in base al cosiddetto criterio topografico (o della distanza) è derogatorio rispetto al criterio demografico o della popolazione.
In base a tale norma, allorché lo richiedono particolari esigenze dell'assistenza farmaceutica, in rapporto alle condizioni topografiche e di viabilità, le Regioni o le Province autonome possono autorizzare l'apertura di nuove farmacie nel rispetto di un limite di distanza per la quale la farmacia di nuova istituzione disti almeno 3.000 metri dalle farmacie esistenti, anche se ubicate in Comuni diversi.
il motivo del contendere odierno sono non gia' i farmaci OTC o di automedicazione (es. tachipirina o aspirina) gia' vendibili dalle parafarmacie, ma i farmaci di classe C, cioe' quelli vendibili dietro presentazione di ricetta medica, ma non rimborsati dal SSN. Fra questi farmaci ci sono antidolorifici anche oppioidi , anoressizzanti e altri farmaci "critici".
La scontistica che deriverebbe dall'apertura dei fascia C alle parafarmacie, sarebbe probabilmente dell'ordine del 10% circa per il cittadino.
Non tutti i farmaci fascia C probabilmente andrebbero nelle parafarmacie , e il risparmio per il cittadino, data la quota di mercato della citata fascia C, sarebbe marginale. Da tenere in conto, comunque, che dopo gli avvocati, i farmacisti sono la categoria piu' rappresentata in parlamento