Il debito della prima economia del pianeta, gli Stati Uniti, ammonta a 16mila miliardi di dollari.
Poi c'è il Giappone che ha un debito superiore ai 10milia miliardi di dollari (più del doppio rispetto al Pil).
L'Italia non scherza dato che ha ormai raggiunto la soglia dei 2mila miliardi di euro (oltre 2.500 miliardi di dollari al cambio attuale euro/dollaro 1,28) che, in prospettiva (considerate le stime calanti del Prodotto interno lordo nel 2012) dovrebbe attestarsi al 126% del Pil.
La lista dei Paesi fortemente indebitati è lunghissima. In questo momento tra i 20 Paesi primi nella classifica del Pil si nota una strana correlazione tra debito e livello di potenza. Come dire che, con qualche eccezione, gli Stati più forti sono anche i più indebitati.
E, a giudicare dalle prospettive sull'andamento dell'economia nei prossimi anni (negli Stati Uniti pesa l'incubo del precipizio fiscale mentre la cancelliera Angela Merkel non ha usato mezze misure nel dire che la crisi europea potrebbe durare anche altri cinque anni) è ragionevole ipotizzare che, nonostante le varie misure di austerity in atto, il livello di indebitamento medio è destinato a salire.
Questa ipotesi è corroborata da un report dell'agenzia di rating Standard and Poor's (Global Aging 2010: An Irreversible Truth) secondo cui nel 2060 il 60% dei Paesi andrà in bancarotta.
Fra meno di 50 anni gli Stati Uniti dovrebbero veder crescere il proprio debito al 415% del Pil (rispetto all'attuale 140%).
Insomma, stiamo davvero andando verso la più grande bolla dei debiti della storia?
La triste verità è che i debiti non verranno mai ripagati, la questione cruciale è fare in modo che siano sostenibili.
Come giudicare se un debito è veramente sostenibile? «Il modo migliore e la prima regola semplice per tenere sotto controllo e poi diminuire il debito di un Paese (come di una qualsiasi organizzazione) è di avere una buona crescita economica - argomenta Edoardo Chiozzi Millelire, responsabile per l'Italia Convictions am -.
Ossia una crescita della ricchezza del Paese che sia superiore al costo del debito e quindi ai rendimenti reali dei titoli di stato (rendimento nominale– inflazione).
Per esempio, gli Usa con una crescita reale del Pil del 2% circa (ed una crescita potenziale non inflattiva tra il 2.5%-3.5%) e dei rendimenti reali negativi, passa questo primo esame e se il nuovo Presidente riuscirà finalmente ad approvare un piano di rientro dei deficit credibile sul medio lungo termine, non ci saranno problemi.
Da noi invece la situazione è ben diversa: ormai sono anni che l'Italia cresce nel migliore dei casi allo 0,qualcosa% e cade in recessione nei momenti di crisi, mentre i rendimenti reali dei titoli di stato italiani sono ancora positivi e ben superiori alla nostra crescita economica.
Alla fine è il buon senso che deve prevalere: se spendo i deficit per consumare anziché per investire e produrre ricchezza con cui ripagare i miei debiti, prima o poi il sistema diventa insostenibile.
In Italia per anni si è fatto esattamente il contrario, si sono tagliati gli investimenti per tenere sotto controllo una mole di debito generata per finanziare spese correnti improduttive…
Mi sa che prima o poi bisognerà cambiare il sistema....
La bolla mondiale del debito. Ci sono ragioni per credere che Usa, Giappone e Ue rientreranno mai dai rispettivi buchi di bilancio? - Il Sole 24 ORE