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Risultati da 111 a 120 di 124

Discussione: riflessione

  1. #111
    TCP Rider Senior L'avatar di mic56
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    Citazione Originariamente Scritto da tbb800 Visualizza Messaggio


    non sentivo citare Castaneda da quella volta che ho magiato 2 chili di funghi avariati ed ho avuto le visioni per 3 giorni
    Ma che fine ha fatto? Produce ancora o si è smaterializzato?

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  3. #112
    TCP Rider Senior L'avatar di rori
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    Citazione Originariamente Scritto da IACH Visualizza Messaggio
    non so a c osa tu alluda. questa è una discussione sulle BMW e sul saluto tra motoclisti
    http://it.wikipedia.org/wiki/Lo_Zen_...cletta:dubbio:


    forse non è lo stesso Zen in cui va la Giuly

    Qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta? Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, nella mente del narratore si formula una risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore». Questo pensiero è la minuscola leva che servirà a sollevare altre domande subito incombenti: da che cosa nasce la tecnologia, perché provoca odio, perché è illusorio sfuggirle? Che cos’è la Qualità? Perché non possiamo vivere senza di essa?

  4. #113
    Ambasciatrice del Forum TCP L'avatar di giulianaspeed
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    ecco bravi....lo ZEN di cui parlo io è una zona malfamata di palermo.... .....meglio non dirvi cosa sono andata a fare

  5. #114
    TCP Rider Senior L'avatar di XantiaX
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    a chiffai... tiri a petcra e mucci a manu?
    ._ _.._.._...|..._|_.._.°._..|.._.._|_.(~..._..(~)
    _\|_)(/_(/_(_|
    ....|..|..||_).|.(/_..|..._).(_)../
    ..|......................|.Ex..T509.

    58 - Tirar come folli dopo ore di tornanti sol perchè è sorto il sole. NON HA PREZZO

  6. #115
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    "La paura e' come la voglia di cacare; viene tutta insieme(all'improvviso, per i non toscani)"
    Scusate se vi riporto on topic.

  7. #116
    TCP Rider Senior L'avatar di tbb800
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    Citazione Originariamente Scritto da mic56 Visualizza Messaggio
    Ma che fine ha fatto? Produce ancora o si è smaterializzato?
    secondo me non dovrebbe essere più di questa terra. e se lo fosse sarebbe ben "cotto"; non credo che i suoi scritti fossero frutto di pura farntasia; immagino che, da ottimo scrittore, abbia fatto molte ricerche sul campo (anzi in zone aride e deseriche)
    Ps: Ma chi ti ha dato il sesto casco !
    Era meglio se ti davano due copertoni nuovi (sui copertoni di Titti c'è scolpito con un temperino "Anita Ama Giuseppe ma la da a Bixio")
    .
    Angelik detto Il Brillante

  8. #117
    TCP Rider Senior L'avatar di rori
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    Citazione Originariamente Scritto da giulianaspeed Visualizza Messaggio
    ecco bravi....lo ZEN di cui parlo io è una zona malfamata di palermo.... .....meglio non dirvi cosa sono andata a fare
    Giuly capacosca

  9. #118
    TCP Rider Senior L'avatar di IACH
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    Citazione Originariamente Scritto da tbb800 Visualizza Messaggio
    secondo me non dovrebbe essere più di questa terra. e se lo fosse sarebbe ben "cotto"; non credo che i suoi scritti fossero frutto di pura farntasia; immagino che, da ottimo scrittore, abbia fatto molte ricerche sul campo (anzi in zone aride e deseriche)
    masticando, masticando il cactus è una pianta coriacea.

    immagino il peregrinare in un territorio rude fatto di sabbia e di pietra, di piante spinose e di lucertole che fannol capolino da dietro i sassi. Arriba Mexico.

    mi viene in mente un autore di diversa levatura dal Castaneda, ma non per minore bravura. ( il metro è soggettivo...esistono estimatori di Liala , e che manitù li conservi) Comunque. si tratta di Pino Cacucci del quale vi invito a leggere, se non lo avete mai fatto, il brevisssimo Don Isidro Futbol del quale vi anticipo una parte che ho trovato nella rete . Divertimento puro.

    Il sacco di concime bianco era bastato a malapena, e il tracciamento dei confini era avvenuto sotto lo sguardo sofferto di Alvaro Cristóbal, che da almeno quattro ore masticava una litania d’imprecazioni ininterrotte. La partita iniziò alle dieci e mezza secondo l’arbitro, le undici e cinque secondo l’orologio di don Cayetano. Comunque, il sole era alto. E le gambe di Quintino una massa di gelatina disossata. Pepe Gongora non ci mise granché ad accorgersi che il suo unico fuoriclasse era ridotto peggio di lui, che per la “cruda” conseguente alla bevuta della sera prima, faticava persino a insultarlo. Quintino era la sola speranza di strappare la palla agli avversari, visto che El Zopilote non teneva le braccia spalancate ma strette sulla pancia dolorante, e in dieci minuti gli avevano infilato sei reti. Quelli della Pizpireta, poi, sembravano tutti sul punto di schiattare d’apoplessia per il gran ridere. Il figlio del padrone si era addirittura fatto male, cascando dal tetto della jeep durante una contorsione azzardata, e adesso continuava a sghignazzare premendosi un fazzoletto sull’occhio. Un disastro. Pepe Gongora, con un sospiro così profondo da provocargli una fitta alle tempie per l’eccesso di ossigeno, decise che Quintino se ne andasse in porta e al suo posto entrasse Luisito, il figlio di Chepe Chamaco, il quale per quanto tozzo e sgraziato, avrebbe se non altro rallentato a spallate e testate quella corsa verso il baratro.
    Pepe alzò le braccia per segnalare il cambio, ma gli arrivò una scorza di cocomero sulla nuca lanciata dal maniscalco del rancho, e nel voltarsi di scatto scivolò finendo sulle ginocchia di Alvaro Cristóbal, che per reazione istintiva gli vibrò una bastonata sulla schiena. Proprio in quel momento, Quintino ricevette una spinta da un avversario che lo fece volare di faccia nel fango. Tutto intorno esplose l’inferno. Urla, pernacchie lunghissime, pesanti allusioni sulle abitudini sessuali degli abitanti maschi di San Isidro, affermazioni irripetibili sullo stesso argomento ma che avevano per oggetto le galline, e così via. Don Cayetano balzò in piedi fremendo di rabbia. E quando gli piovve addosso una manciata di tostaditas adobadas, che lo imbrattarono di peperoncino e olio rifritto, l’alcalde di San Isidro don Cayetano Altamirano estrasse dalla cintura la vecchia ma fida Colt Frontier Quarantaquattroquaranta, e sparò tre colpi in aria.
    Ci fu un discreto silenzio, subito dopo. Nessuno replicò, anche perché la tifoseria della Pizpireta poteva contare al momento solo su qualche machete e una cinquantina di coltelli, e per andare a prendere i fucili dalle case bisognava perdere un buon quarto d’ora.
    Intanto, Quintino stava fortunatamente pensando che del futból non gliene importava poi molto, e non lo sfiorava neppure lontanamente l’idea di pentirsi per quanto aveva lasciato succedere la notte precedente; però, con la faccia sul terreno, sentiva egualmente una sensazione di dolore morale per aver deluso a quel modo i compaesani di San Isidro. Rassegnato a farsi sostituire, tirò su la faccia e vide il pandemonio acquietarsi. Solo a quel punto collegò il rumore appena sentito al grosso revolver che stringeva in pugno don Cayetano. E per la vergogna di aver trascinato il suo alcalde in una simile situazione, riabbassò il viso, sfiorando il fertilizzante bianco di Alvaro Cristóbal. Infatti era caduto proprio sul limite del campo, e in un singhiozzo di rabbia si riempì il naso di quella polvere bruciante.
    Il primo impulso fu di soffiare forte per farla uscire, ma gliene era entrata abbastanza da finirgli anche in gola. Si alzò, cercando di togliere il “concime” dalla faccia, ma non ebbe neppure il tempo di starnutire che Pepe Gongora, riavutosi dalla bastonata di Alvaro Cristóbal, avanzò verso di lui brandendo una sedia. Quintino, più per sfuggirgli che per altro, si lanciò di corsa nella mischia, dove finì sulla palla e quasi senza rendersene conto prese a schivare avversari come un invasato, a menare calci negli stinchi e gomitate fra le gambe, e intanto correva, correva, attraversando il campo da una parte all’altra, e si ritrovò davanti El Zopilote e per poco non gli tirò in porta, e pochi secondi dopo era davanti a quella opposta, dove sparò un tiro che mandò il pallone a trapassare la rete e la sua stessa scarpa nello stomaco del portiere. Rimessala al piede, tre minuti dopo segnava ancora, e quando l’arbitro riappoggiò la palla al centro, non diede agli altri neppure il tempo di capire da dove era sbucato, che già tutta San Isidro esultava per il terzo gol. Al termine del primo tempo, Quintino pareggiava sei a sei. Pepe Gongora piangeva abbracciato ad Alvaro Cristóbal, che si limitava a battergli la mano sulla testa borbottando commosso, e tutti saltavano e restituivano gesti osceni a quelli della Pizpireta, mentre don Cayetano sostituiva le tre cartucce usate nel tamburo della Colt, sorridendo beffardo sotto i lunghi baffi a manubrio, che con gli anni erano diventati bianchissimi e spioventi. Quintino aveva occhi solo per Antonia, che lo fissava con orgoglio e lampi di promesse facilmente decifrabili. Però, quando dovette rialzarsi dalla panca per tornare in campo, ebbe la sensazione che la stanchezza di due giorni gli piombasse di colpo nei polpacci. Era stato un errore sedersi.
    Provò a sgambettare per liberarsi da quei ceppi invisibili, ma l’energia inspiegabile che lo aveva posseduto poco prima sembrava volatilizzata. Iniziò il secondo tempo, e lui ce la metteva tutta per correre dietro a quel pallone diventato di nuovo troppo veloce e scivoloso per i suoi piedi pesantissimi. L’entusiasmo dei compaesani s’incrinò al settimo gol della Pizpireta. E quando segnarono l’ottavo e il nono, don Cayetano tornò a pensare, come più di mezzo secolo prima, che sei colpi sono pochi per una pistola. Ripresero a piovere insulti e cibarie sugli attoniti abitanti di San Isidro. Quintino adesso era più spompato che all’inizio. Correva a bocca aperta e le braccia ciondoloni, col fiato che sembrava fermarsi in gola e non voler scendere fino ai polmoni. Allora, essendo molto superstizioso e attento ai gesti rituali, decise di ripetere in ogni dettaglio la sequenza che aveva preceduto il miracolo inspiegabile.
    Fingendo di scivolare, andò a cadere con la faccia nel medesimo punto, affondando il naso nella polvere bianca che marcava i limiti del campo. Respirò profondamente, si rialzò, e in pochi secondi le gambe tornarono leggere e sibilanti come la brezza tra i chilamates della Sierra.
    Quando l’arbitro si portò le quattro dita alla bocca per fischiare la fine, Quintino neppure se ne accorse. Più tardi, gli dissero che il quindicesimo gol non era valido, e lui ci restò malissimo.


    Citazione Originariamente Scritto da giulianaspeed Visualizza Messaggio
    ragazzi...voi siete fuori di testa

    ........ma dai ?
    Ieri ero un cane. Oggi sono un cane. Domani probabilmente sarò un cane. Sigh! Ci sono poche speranze in un avanzamento.
    (Snoopy)

  10. #119
    TCP Rider Senior L'avatar di Odysseo
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    Citazione Originariamente Scritto da IACH Visualizza Messaggio

    Il sacco di concime bianco era bastato a malapena, e il tracciamento dei confini era avvenuto sotto lo sguardo sofferto di Alvaro Cristóbal, che da almeno quattro ore masticava una litania d’imprecazioni ininterrotte. La partita iniziò alle dieci e mezza secondo l’arbitro, le undici e cinque secondo l’orologio di don Cayetano. Comunque, il sole era alto. E le gambe di Quintino una massa di gelatina disossata. Pepe Gongora non ci mise granché ad accorgersi che il suo unico fuoriclasse era ridotto peggio di lui, che per la “cruda” conseguente alla bevuta della sera prima, faticava persino a insultarlo. Quintino era la sola speranza di strappare la palla agli avversari, visto che El Zopilote non teneva le braccia spalancate ma strette sulla pancia dolorante, e in dieci minuti gli avevano infilato sei reti. Quelli della Pizpireta, poi, sembravano tutti sul punto di schiattare d’apoplessia per il gran ridere. Il figlio del padrone si era addirittura fatto male, cascando dal tetto della jeep durante una contorsione azzardata, e adesso continuava a sghignazzare premendosi un fazzoletto sull’occhio. Un disastro. Pepe Gongora, con un sospiro così profondo da provocargli una fitta alle tempie per l’eccesso di ossigeno, decise che Quintino se ne andasse in porta e al suo posto entrasse Luisito, il figlio di Chepe Chamaco, il quale per quanto tozzo e sgraziato, avrebbe se non altro rallentato a spallate e testate quella corsa verso il baratro.
    Pepe alzò le braccia per segnalare il cambio, ma gli arrivò una scorza di cocomero sulla nuca lanciata dal maniscalco del rancho, e nel voltarsi di scatto scivolò finendo sulle ginocchia di Alvaro Cristóbal, che per reazione istintiva gli vibrò una bastonata sulla schiena. Proprio in quel momento, Quintino ricevette una spinta da un avversario che lo fece volare di faccia nel fango. Tutto intorno esplose l’inferno. Urla, pernacchie lunghissime, pesanti allusioni sulle abitudini sessuali degli abitanti maschi di San Isidro, affermazioni irripetibili sullo stesso argomento ma che avevano per oggetto le galline, e così via. Don Cayetano balzò in piedi fremendo di rabbia. E quando gli piovve addosso una manciata di tostaditas adobadas, che lo imbrattarono di peperoncino e olio rifritto, l’alcalde di San Isidro don Cayetano Altamirano estrasse dalla cintura la vecchia ma fida Colt Frontier Quarantaquattroquaranta, e sparò tre colpi in aria.
    Ci fu un discreto silenzio, subito dopo. Nessuno replicò, anche perché la tifoseria della Pizpireta poteva contare al momento solo su qualche machete e una cinquantina di coltelli, e per andare a prendere i fucili dalle case bisognava perdere un buon quarto d’ora.
    Intanto, Quintino stava fortunatamente pensando che del futból non gliene importava poi molto, e non lo sfiorava neppure lontanamente l’idea di pentirsi per quanto aveva lasciato succedere la notte precedente; però, con la faccia sul terreno, sentiva egualmente una sensazione di dolore morale per aver deluso a quel modo i compaesani di San Isidro. Rassegnato a farsi sostituire, tirò su la faccia e vide il pandemonio acquietarsi. Solo a quel punto collegò il rumore appena sentito al grosso revolver che stringeva in pugno don Cayetano. E per la vergogna di aver trascinato il suo alcalde in una simile situazione, riabbassò il viso, sfiorando il fertilizzante bianco di Alvaro Cristóbal. Infatti era caduto proprio sul limite del campo, e in un singhiozzo di rabbia si riempì il naso di quella polvere bruciante.
    Il primo impulso fu di soffiare forte per farla uscire, ma gliene era entrata abbastanza da finirgli anche in gola. Si alzò, cercando di togliere il “concime” dalla faccia, ma non ebbe neppure il tempo di starnutire che Pepe Gongora, riavutosi dalla bastonata di Alvaro Cristóbal, avanzò verso di lui brandendo una sedia. Quintino, più per sfuggirgli che per altro, si lanciò di corsa nella mischia, dove finì sulla palla e quasi senza rendersene conto prese a schivare avversari come un invasato, a menare calci negli stinchi e gomitate fra le gambe, e intanto correva, correva, attraversando il campo da una parte all’altra, e si ritrovò davanti El Zopilote e per poco non gli tirò in porta, e pochi secondi dopo era davanti a quella opposta, dove sparò un tiro che mandò il pallone a trapassare la rete e la sua stessa scarpa nello stomaco del portiere. Rimessala al piede, tre minuti dopo segnava ancora, e quando l’arbitro riappoggiò la palla al centro, non diede agli altri neppure il tempo di capire da dove era sbucato, che già tutta San Isidro esultava per il terzo gol. Al termine del primo tempo, Quintino pareggiava sei a sei. Pepe Gongora piangeva abbracciato ad Alvaro Cristóbal, che si limitava a battergli la mano sulla testa borbottando commosso, e tutti saltavano e restituivano gesti osceni a quelli della Pizpireta, mentre don Cayetano sostituiva le tre cartucce usate nel tamburo della Colt, sorridendo beffardo sotto i lunghi baffi a manubrio, che con gli anni erano diventati bianchissimi e spioventi. Quintino aveva occhi solo per Antonia, che lo fissava con orgoglio e lampi di promesse facilmente decifrabili. Però, quando dovette rialzarsi dalla panca per tornare in campo, ebbe la sensazione che la stanchezza di due giorni gli piombasse di colpo nei polpacci. Era stato un errore sedersi.
    Provò a sgambettare per liberarsi da quei ceppi invisibili, ma l’energia inspiegabile che lo aveva posseduto poco prima sembrava volatilizzata. Iniziò il secondo tempo, e lui ce la metteva tutta per correre dietro a quel pallone diventato di nuovo troppo veloce e scivoloso per i suoi piedi pesantissimi. L’entusiasmo dei compaesani s’incrinò al settimo gol della Pizpireta. E quando segnarono l’ottavo e il nono, don Cayetano tornò a pensare, come più di mezzo secolo prima, che sei colpi sono pochi per una pistola. Ripresero a piovere insulti e cibarie sugli attoniti abitanti di San Isidro. Quintino adesso era più spompato che all’inizio. Correva a bocca aperta e le braccia ciondoloni, col fiato che sembrava fermarsi in gola e non voler scendere fino ai polmoni. Allora, essendo molto superstizioso e attento ai gesti rituali, decise di ripetere in ogni dettaglio la sequenza che aveva preceduto il miracolo inspiegabile.
    Fingendo di scivolare, andò a cadere con la faccia nel medesimo punto, affondando il naso nella polvere bianca che marcava i limiti del campo. Respirò profondamente, si rialzò, e in pochi secondi le gambe tornarono leggere e sibilanti come la brezza tra i chilamates della Sierra.
    Quando l’arbitro si portò le quattro dita alla bocca per fischiare la fine, Quintino neppure se ne accorse. Più tardi, gli dissero che il quindicesimo gol non era valido, e lui ci restò malissimo.




    Degno di Luca Goldoni.
    Castaneda gli fa un baffo !!


  11. #120
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    [QUOTE=IACH;6272741]masticando, masticando il cactus è una pianta coriacea.

    immagino il peregrinare in un territorio rude fatto di sabbia e di pietra, di piante spinose e di lucertole che fannol capolino da dietro i sassi. Arriba Mexico.

    mi viene in mente un autore di diversa levatura dal Castaneda, ma non per minore bravura. ( il metro è soggettivo...esistono estimatori di Liala , e che manitù li conservi) Comunque. si tratta di Pino Cacucci del quale vi invito a leggere, se non lo avete mai fatto, il brevisssimo Don Isidro Futbol del quale vi anticipo una parte che ho trovato nella rete . Divertimento puro.

    Il sacco di concime bianco era bastato a malapena, e il tracciamento dei confini era avvenuto sotto lo sguardo sofferto di Alvaro Cristóbal, che da almeno quattro ore masticava una litania d’imprecazioni ininterrotte. La partita iniziò alle dieci e mezza secondo l’arbitro, le undici e cinque secondo l’orologio di don Cayetano. Comunque, il sole era alto. E le gambe di Quintino una massa di gelatina disossata. Pepe Gongora non ci mise granché ad accorgersi che il suo unico fuoriclasse era ridotto peggio di lui, che per la “cruda” conseguente alla bevuta della sera prima, faticava persino a insultarlo. Quintino era la sola speranza di strappare la palla agli avversari, visto che El Zopilote non teneva le braccia spalancate ma strette sulla pancia dolorante, e in dieci minuti gli avevano infilato sei reti. Quelli della Pizpireta, poi, sembravano tutti sul punto di schiattare d’apoplessia per il gran ridere. Il figlio del padrone si era addirittura fatto male, cascando dal tetto della jeep durante una contorsione azzardata, e adesso continuava a sghignazzare premendosi un fazzoletto sull’occhio. Un disastro. Pepe Gongora, con un sospiro così profondo da provocargli una fitta alle tempie per l’eccesso di ossigeno, decise che Quintino se ne andasse in porta e al suo posto entrasse Luisito, il figlio di Chepe Chamaco, il quale per quanto tozzo e sgraziato, avrebbe se non altro rallentato a spallate e testate quella corsa verso il baratro.
    Pepe alzò le braccia per segnalare il cambio, ma gli arrivò una scorza di cocomero sulla nuca lanciata dal maniscalco del rancho, e nel voltarsi di scatto scivolò finendo sulle ginocchia di Alvaro Cristóbal, che per reazione istintiva gli vibrò una bastonata sulla schiena. Proprio in quel momento, Quintino ricevette una spinta da un avversario che lo fece volare di faccia nel fango. Tutto intorno esplose l’inferno. Urla, pernacchie lunghissime, pesanti allusioni sulle abitudini sessuali degli abitanti maschi di San Isidro, affermazioni irripetibili sullo stesso argomento ma che avevano per oggetto le galline, e così via. Don Cayetano balzò in piedi fremendo di rabbia. E quando gli piovve addosso una manciata di tostaditas adobadas, che lo imbrattarono di peperoncino e olio rifritto, l’alcalde di San Isidro don Cayetano Altamirano estrasse dalla cintura la vecchia ma fida Colt Frontier Quarantaquattroquaranta, e sparò tre colpi in aria.
    Ci fu un discreto silenzio, subito dopo. Nessuno replicò, anche perché la tifoseria della Pizpireta poteva contare al momento solo su qualche machete e una cinquantina di coltelli, e per andare a prendere i fucili dalle case bisognava perdere un buon quarto d’ora.
    Intanto, Quintino stava fortunatamente pensando che del futból non gliene importava poi molto, e non lo sfiorava neppure lontanamente l’idea di pentirsi per quanto aveva lasciato succedere la notte precedente; però, con la faccia sul terreno, sentiva egualmente una sensazione di dolore morale per aver deluso a quel modo i compaesani di San Isidro. Rassegnato a farsi sostituire, tirò su la faccia e vide il pandemonio acquietarsi. Solo a quel punto collegò il rumore appena sentito al grosso revolver che stringeva in pugno don Cayetano. E per la vergogna di aver trascinato il suo alcalde in una simile situazione, riabbassò il viso, sfiorando il fertilizzante bianco di Alvaro Cristóbal. Infatti era caduto proprio sul limite del campo, e in un singhiozzo di rabbia si riempì il naso di quella polvere bruciante.
    Il primo impulso fu di soffiare forte per farla uscire, ma gliene era entrata abbastanza da finirgli anche in gola. Si alzò, cercando di togliere il “concime” dalla faccia, ma non ebbe neppure il tempo di starnutire che Pepe Gongora, riavutosi dalla bastonata di Alvaro Cristóbal, avanzò verso di lui brandendo una sedia. Quintino, più per sfuggirgli che per altro, si lanciò di corsa nella mischia, dove finì sulla palla e quasi senza rendersene conto prese a schivare avversari come un invasato, a menare calci negli stinchi e gomitate fra le gambe, e intanto correva, correva, attraversando il campo da una parte all’altra, e si ritrovò davanti El Zopilote e per poco non gli tirò in porta, e pochi secondi dopo era davanti a quella opposta, dove sparò un tiro che mandò il pallone a trapassare la rete e la sua stessa scarpa nello stomaco del portiere. Rimessala al piede, tre minuti dopo segnava ancora, e quando l’arbitro riappoggiò la palla al centro, non diede agli altri neppure il tempo di capire da dove era sbucato, che già tutta San Isidro esultava per il terzo gol. Al termine del primo tempo, Quintino pareggiava sei a sei. Pepe Gongora piangeva abbracciato ad Alvaro Cristóbal, che si limitava a battergli la mano sulla testa borbottando commosso, e tutti saltavano e restituivano gesti osceni a quelli della Pizpireta, mentre don Cayetano sostituiva le tre cartucce usate nel tamburo della Colt, sorridendo beffardo sotto i lunghi baffi a manubrio, che con gli anni erano diventati bianchissimi e spioventi. Quintino aveva occhi solo per Antonia, che lo fissava con orgoglio e lampi di promesse facilmente decifrabili. Però, quando dovette rialzarsi dalla panca per tornare in campo, ebbe la sensazione che la stanchezza di due giorni gli piombasse di colpo nei polpacci. Era stato un errore sedersi.
    Provò a sgambettare per liberarsi da quei ceppi invisibili, ma l’energia inspiegabile che lo aveva posseduto poco prima sembrava volatilizzata. Iniziò il secondo tempo, e lui ce la metteva tutta per correre dietro a quel pallone diventato di nuovo troppo veloce e scivoloso per i suoi piedi pesantissimi. L’entusiasmo dei compaesani s’incrinò al settimo gol della Pizpireta. E quando segnarono l’ottavo e il nono, don Cayetano tornò a pensare, come più di mezzo secolo prima, che sei colpi sono pochi per una pistola. Ripresero a piovere insulti e cibarie sugli attoniti abitanti di San Isidro. Quintino adesso era più spompato che all’inizio. Correva a bocca aperta e le braccia ciondoloni, col fiato che sembrava fermarsi in gola e non voler scendere fino ai polmoni. Allora, essendo molto superstizioso e attento ai gesti rituali, decise di ripetere in ogni dettaglio la sequenza che aveva preceduto il miracolo inspiegabile.
    Fingendo di scivolare, andò a cadere con la faccia nel medesimo punto, affondando il naso nella polvere bianca che marcava i limiti del campo. Respirò profondamente, si rialzò, e in pochi secondi le gambe tornarono leggere e sibilanti come la brezza tra i chilamates della Sierra.
    Quando l’arbitro si portò le quattro dita alla bocca per fischiare la fine, Quintino neppure se ne accorse. Più tardi, gli dissero che il quindicesimo gol non era valido, e lui ci restò malissimo.























    In qto a pprolissiità macheamico6 ti fa ha pippa

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