A mio nonno che, diciannovenne, sopravvisse alla carneficina di Al Alamein e riuscì successivamente ad arrivare a Lampedusa su un barcone, come gli attuali migranti, e che quando ero bambino si è assunto il difficile compito di raccontarmi cosa era realmente successo
Al fratello di mio nonno che, internato in un campo di prigionia in Germania, riuscì a fine guerra a tornare in bicicletta e per tutta la vita non riusciva a prender sonno se non aveva accanto a sé un sacco di patate, perché nella sua mente ormai perduta rappresentavano l'unico simbolo di sopravvivenza
A mia zia che, dodicenne, fu violentata da un branco di nazisti in fuga davanti agli occhi del padre obbligato ad assistere
Ai miei zii Livi costretti a scappare in Francia dopo aver subito angherie fasciste tali che, fino alla morte, il figlio Ivo Livi, fuggito ventenne e diventato successivamente famoso come Yves Montand, ha sempre rifiutato ogni offerta di cittadinanza onoraria da parte dei vari sindaci di Monsummano, come forma di riconciliazione, tanto era l'orrore a cui aveva dovuto assistere.
Ai milioni di persone che furono spazzati via dai loro affetti e dalla loro quotidianità da una follia inimmaginabile.
Il mio pensiero va a tutti loro, e la mia infinita riconoscenza a chi, a costo della vita, pose fine a tutto questo.
Settant'anni sembrano tanti, forse troppi, ma credo sia doveroso ricordarlo, anche se, alla luce di quel che succede ancor oggi in varie parti del mondo, pare che non abbiamo imparato niente dagli errori del passato.