21 giugno, il solstizio d’estate. Il momento in cui idealmente si salutano i mesi bui e freddi e ci si proietta con la mente e con i progetti al periodo delle vacanze. Si fa per dire.
In realtà i giorni del solstizio sono i più lunghi dell’anno, quelli dove il nostro emisfero “immagazzina” l’energia da sfruttare per l’estate, quelli in cui passano più ore tra l’alba ed il tramonto.
E ci voleva l’entusiasmo e l’animo poetico di uno come Buonuomo (al secolo Luca) per sfruttare questa serata particolare ed andare a salutare la stagione entrante in uno dei posti-simbolo del motoerrare: il Gavia, i 2600 metri sul livello del mare più selvaggi delle Alpi, se si parla di strade asfaltate.
Andare a guardare il tramonto sul Gavia. Come si fa a rifiutare una proposta del genere?
E allora concordiamo il puntello, a Rovereto Nord, alle 19. Chiudiamo tutto in ufficio e corriamo a prendere le motorette in garage.



La prima ora di viaggio la facciamo ognuno per suo conto, io districandomi nel nervoso traffico cittadino di fine giornata e poi via per la valdadige sulla mia Sprint, Luca lottando con quello pesante dell’alto fondovalle vicentino prima di fiondarsi in vallarsa con il sua vecchia e fidata “fianchi larghi” dell’aletta dorata.
Poi, dopo il rabbocco a Rovereto, il tempo di dare tre o quattro dritte a due motociclisti abruzzesi in cerca di itinerari giusti per l’indomani, diretti verso la zona “sellaronda”, ecco arrivare il Buonuomo sulla Goldwing con il suo buon umore e la sua grandissima voglia di partire verso sempre nuove mete.
E partiamo, quindi, oltre Trento e verso la val di Non, destreggiandoci tra camion ed autovetture – non tantissimi in realtà – ma abbastanza da renderci impazienti di trovare strade libere. Che ci si aprono in val di Sole, mentre la luce inesorabilmente cala. Un po’ per la giornata che va a finire, un po’ per qualche velatura di troppo.
Passiamo rapidi i palazzoni del Tonale, scarsamente popolato da gruppi di ragazzi in colonia estiva – immaginiamo - e scendiamo* a Ponte di Legno, da dove prendiamo subito la salita del Gavia.



Rapida sosta ad indossare un maglione, prevedendo temperature più rigide ad alta quota e con la notte, e ripartiamo sui tornanti e nel bosco della prima parte della salita.
In giro non c’è proprio più nessuno. La strada e le montagne sono tutte per noi, in un atmosfera immobile e glaciale, sotto sbuffi di nuvole che si attorcigliano tra le vallate.
Salendo, ci infiliamo dentro una di queste nuvole, che ci accompagna con la sua bruma fino nella serie di gallerie. E’ la prima volta che trovo nebbia in galleria, per di più in una delle gallerie del Gavia, cioè una specie di grotta, o di tunnel minerario, buio e bagnato. In cui cioè la nebbia aggiunge una certa atmosfera horror/thriller.
Usciti dalle gallerie, ci troviamo anche al di sopra della nuvola, e le cime ci si aprono maestose tutte attorno. Che meraviglia!
Ad uno degli ultimi tornanti prima del passo, quello con la casetta in rovina che guarda il lago alpino sottostante, troviamo ad attenderci due capre selvatiche di montagna, che sembrano piccoli stambecchi, e che ci guardano incuriosite prima di riprendere la loro passeggiata giù per il pendio.
Quando infine arriviamo al passo, l’aria è così umida che sembra quasi piovere.





Al rifugio Bonetta un gruppetto di signore sta chiacchierando davanti al fuoco. Ne approfittiamo per chiedere se il cartello di divieto di circolazione che abbiamo notato appena arrivati, e che si riferisce ad un tratto più avanti, giù a Santa Caterina Valfurva, sia serio oppure no. Infatti non avevamo trovato avvisi, guardando in internet. Invece pare proprio che la strada sia chiusa, per via di una frana che di notte non è presidiata, dalle 21 alle 6 di mattina. Uno sguardo all’orologio ci dice che sono le 21.30, anche se c’è ancora un po’ di luce.
Le signore al rifugio ci suggeriscono di provare, magari ci fanno passare prima del buio.
Altrimenti non ci sono altre possibilità di raggiungere Bormio e di proseguire il nostro giro.
Partiamo quindi senza esitazione e intraprendiamo la discesa nord del Gavia, che in alto è sempre bella sconnessa, oggi a tratti anche piena di fango e brecciolino, tanto che la moto ad un certo punto mi si intraversa anche un po’… Inoltre devo scendere con la visiera aperta perché l’umidità si appiccica fastidiosamente.
Più avanti, ormai nel bosco, ci aspetta un’altra – gradita - sorpresa. Un tornante più in basso, stupiti ed un po’ preoccupati, ci aspettano cinque o sei cervi! Bellissimi, alcuni più grandi ed altri più piccoli, maschi, femmine e giovani. E’ questione di qualche decina di secondi che sembrano minuti, durante i quali ci guardiamo incuriositi, poi il capobranco decide di rientrare nel bosco, con calma, seguito dagli altri, così quando vediamo scomparire i mantelli ed i palchi di corna tra gli alberi, riprendiamo la nostra discesa.
Arriviamo a Santa Caterina che già le ultime luci della sera sono scomparse dietro le montagne. Praticamente nessuno in giro, e quei due o tre pedoni ci guardano strano mentre transitiamo piano per il centro.
Poco oltre l’abitato, troviamo le barriere ed il cartello che avvisa della chiusura notturna della strada. Non c’è nessuno e le transenne coprono solo metà della carreggiata, quindi proviamo a passare.
Percorriamo pian piano la strada deserta, con il motore in sesta a 1500 giri, quasi per non disturbare, finchè arriviamo e passiamo il punto della frana, aggirandola con una corsia provvisoria regolata da un semaforo.
In pochi minuti siamo nei pressi di Bormio, dove troviamo l’altra barriera che passiamo furtivamente.
Siamo estremamente sollevati, il nostro giro può essere completato. L’idea di tornare sui nostri passi mi sarebbe dispiaciuta molto.
Dopo quattro chiacchiere ed una piadina, davanti ad una bella birra sulle panche all’aperto di un bar di Bormio, ed il rabbocco del carburante ad uno dei distributori più cari delle alpi, riprendiamo la nostra scorribanda notturna.
Devo rincorrere per qualche centinaio di metri Luca, che inaspettatamente è partito deciso verso Tirano. Evidentemente è stato fermo troppo tempo negli ultimi due anni, ed ha perso un po’ di automatismi!
Di li a poco, la salita verso lo Stelvio è quasi surreale.
Ormai è buio pesto – sono le 23 - e non riesco a credere di stare affrontando il più alto passo Italiano a quest’ora! *Seguo la imponente mole e fanaleria della Goldwing su per il bosco ed i tornanti, e poi sulle coste rocciose più in alto.
A differenza che sul Gavia, qui le gallerie si illuminano a giorno – automaticamente - al nostro passaggio, il che in quest’atmosfera un po’ estrema fa un effetto quasi magico. Strano anche – guardando in giù – poter apprezzare la strada appena percorsa, come una traccia luminosa nella roccia.
Pian piano ci arrampichiamo, intuendo più che altro le varie tappe della salita: il tornante della cascata del Braulio, segnalata dai lampioncini sulla sottostante piccola diga, la chiesetta nell’intermezzo quasi pianeggiante, la casa cantoniera al bivio dell’Umbrail, mentre in alto Lo Stelvio ci aspetta, segnalato da una invadente scritta rossa al neon, dal chiarore dei pochi lampioni e da qualche finestra illuminata degli alberghi.
Avvicinandoci, scopriamo che l’insegna rossa - visibile da chilometri e installata su una casetta in pietra – porta la scritta “Folgore”, penso per celebrare il famoso reparto militare di paracadutisti di stanza a Pisa…
Ci fermiamo un minuto al passo, nella piazzetta, spegnendo il motore per non disturbare gli ospiti degli hotel. Fa davvero un effetto strano trovarsi qui di notte, con la prospettiva per di più di dover rientrare a casa.



Luca propone di fermarsi poco oltre, al primo tornante della discesa altoatesina.
Di li a poco capisco perché. Una volta spente le moto, siamo avvolti in un silenzio quasi irreale. Mentre le pupille si abituano al buio, poco a poco ci appaiono le masse imponenti delle montagne cosparse di neve, prima solo vagamente percepite, e adesso presenze fisiche, *immutabili e ancestrali. Più in basso, lontano, da qualche parte scorre un ruscello… La luna piena, in parte nascosta dalle nuvole, cerca di spuntare a salutarci, donando altra magia a questa nottata già eccezionale.
Riprendiamo la discesa quasi a malincuore, sulla interminabile serie di stretti tornanti.
Mentre le curve si susseguono e ci addentriamo nel bosco, avvistando qua e la altri piccoli animali (uno scoiattolo, un tasso, forse una volpe), mi accorgo che se perdo il contatto di qualche metro con il codone (per non dire il culone) della Goldwing, i miei fari – pur profondi - non illuminano altrettanto bene le curve più strette. Sono costretto nuovamente ad aprire la visiera, che tra l’altro mi regala fastidiosi riflessi, per guardare meglio all’interno delle curve. A fine serata e l’indomani mi ringrazieranno due occhi da lemure.
Una volta a valle, l’impressione è di aver *terminato l’avventura. Ed in parte è davvero così, nonostante i 200km abbondanti che ci separano da casa.
Queste ultime tre ore di strade semideserte ma buie, di stanchezza, di curve che si perdono nelle tenebre ed infine di autostrada mi risultano particolarmente pesanti.
Dopo una sosta rigenerante all’autogrill, io e Luca ci salutiamo. Lui, instancabile, prende la vallarsa a Rovereto. Io proseguo lungo l’adige fino a casa.
Cosa dire alla fine di un’uscita come questa? Magica, forse un po’ estrema, sicuramente faticosa. Soprattutto se inserita in mezzo ad una settimana lavorativa, come abbiamo fatto noi.
Ho avuto la conferma che non amo andare in moto di notte, ma decisamente ne è valsa la pena!
Grazie a Luca, senza il cui proverbiale entusiasmo non avrei mai avuto la decisione per affrontare un’avventura del genere!