La mattina dopo ci fu la seconda tappa, detta «il diagonalone»,
seimilatrecento chilometri d'autostrada da Lisbona a Leningrado. Il
gruppo rimase compatto fino ai milletrecento chilometri: poi,
all'autogrill Pavesi, Borzignon chiese di poter andare un po' avanti
per salutare i suoi a Cattolica. Pozzi e Girardoux diedero il permesso
e Borzignon partì come un ossesso. Pochi minuti dopo nel gruppo
cominciò a circolare la voce che Borzignon era di Pordenone. Pozzi
urlò «Traditore!» e si lanciò all'inseguimento. Borzignon aveva già
due ore e mezzo di vantaggio, ma in poche pedalate fu ripreso: venne
ammonito e picchiato.
Allora Girardoux cominciò a fare una gara tattica. Disse: «Beh, io
vado a fare un giretto», e uscì a Rimini nord. Pozzi,
preoccupatissimo,glisi pose alle calcagna.Girardoux,
tranquillissimo, comprò un gelato e si mise a passeggiare sul
lungomare. Pozzi e tre gregari lo seguirono pedalando sulla spiaggia.
Poi Girardoux fece il bagno in moscone. Nel clan italiano tutti erano
molto preoccupati per la mossa del francese. Girardoux fece sei
partite a flipper, comprò alcune cartoline e andò a vedere i delfini.
Uno dei Panozzo lo seguì strisciando sul bordo della piscina, un
delfino saltò e ne fece un boccone. Alle otto e mezzo di sera il
gruppo era a settecento chilometri di distanza, ma Girardoux non dava
segni di impazienza. Pozzi invece era nervosissimo e ogni tanto
sbuffava aprendo larghe voragini sulla strada. Alle dieci Girardoux si
presentò al Mocambo e invitò a ballare una tedesca. Pozzi, nascosto
dietro una palma, lo sorvegliava. Ballarono a lungo, poi Girardoux
tentò uno stricco e prese una sberla. Allora invitò un'altra tedesca.
Ballarono fino a mezzanotte. Il gruppo intanto era a trenta chilometri
dal traguardo. A mezzanotte e mezzo Girardoux e la tedesca
cominciarono a fare i gustini e Borzignon mugolò, eccitatissimo.
All'una i due uscirono teneramente allacciati e si diressero verso
l'albergo Mareverde. Pozzi li seguì e li vide entrare in camera mentre
a Lisbona il gruppo entrava sulla dirittura d'arrivo. Girardoux si
levò la maglietta e il berrettino: poi, mentre la tedesca andava in
bagno, si tolse i pantaloni: si guardò un momento intorno e fulmineo
trasse di tasca una bicicletta e partì come un fulmine dalla finestra.
Pozzi urlò «Maledetto!», e si lanciò all'inseguimento.
In pochi secondi, testa a testa, percorsero gli ottocento chilometri
d'autostrada lasciando dietro di sé un sibilo acutissimo e un forte
odore di polvere da sparo, e piombarono sul gruppo a duecento metri
dall'arrivo. A questo punto nello stomaco di Girardoux il grande
sforzo e il gelato riminese diedero luogo a una improvvisa reazione
chimica; dalla bocca del francese uscì una colonna di fumo alta
trentanove metri profumata al pistacchio, ed egli impallidì e si fermò
a vomitare a due metri dal traguardo: Pozzi vinse con due secondi di
vantaggio, e prese la maglia rosa. Girardoux crollò di schianto
tagliando il traguardo con la lingua, che si era gonfiata fino a
raggiungere le dimensioni di un materasso.
Quella notte nel clan italiano ci fu una gran festa, e Pozzi offrì
champagne a tutti. I giornali francesi uscirono in edizione
straordinaria e Pozzi fu chiamato «L'aquila delle pianure», «Il falco
da casello a casello», «L'angelo delle autostrade» e «L'esperta
pantera». Nel clan francese ci furono quattro suicidi e due casi di
asiatica. Il vecchio meccanico Rougeon, di ottantasette anni, che da
ottantadue anni montava le biciclette della équipe transalpina, si
avvicinò a Girardoux col viso stanco e rugoso solcato da grosse
lacrime, e con la voce tremante per la commozione gli mise una mano
sulla spalla, disse «Oh, Girou», e gli piantò un cacciavite multiplo
tra gli occhi.
Il vecchio patron Biroux radunò il suo staff e fu studiato un piano
diabolico per la notte. Si sapeva che Pozzi era molto morigerato, ma
che sotto sotto gli piacevano moltissimo due cose: le donne strabiche
e i rusticani acerbi. Durante la notte sarebbe stata mandata nella
camera di Pozzi una ballerina delle Folies Bergère, la famosa Isabelle
la Strabique, con un canestro di rusticani. Pozzi sarebbe senz'altro
stato stroncato dall'amore e da una colica. Il piano fu senz'altro
approvato. Venne chiamata Isabelle la Strabique, che era una
bellissima donna dai capelli rossi, figlia di una zingara polacca e di
un concessionario Alfa Romeo di Mâcon. Era tanto strabica che la
pallina nera, dall'occhio destro, si era spostata nel globo sinistro,
e viceversa, cosicché aveva gli occhi perfettamente normali. Ma Pozzi,
che era un intenditore non si sarebbe fatto certamente ingannare dalle
apparenze. Isabelle venne davanti al patron, fece una bellissima danza
zingara e chiese cosa si voleva da lei. Il patron glielo spiegò e
Isabelle disse che lo avrebbe fatto volentieri per la Francia e per
sei milioni. Nel dire ciò, spostò la pallina nera dal destro al
sinistro e viceversa. Infatti quando parlava di soldi aveva spesso di
questi strani fenomeni. Talvolta tutte e due le pupille finivano nello
stesso occhio e sull'altro non restava che il bianco, oppure compariva
una pubblicità della soda Perrier.
Il gregario Barzac andò a rubare un canestro di rusticani acerbissimi
da un contadino che lo impallinò a sale. Isabelle partì, vestita da
contadinella col canestrino, e Girardoux tutto soddisfatto tornò nella
sua camera.
Ma, sorpresa delle sorprese, il clan italiano non era rimasto con le
mani in mano, e nella camera Girardoux trovò una negra con la testa a
pera e un cesto di bomboloni, le uniche due cose a cui non sapeva
resistere. E subito si diede a un'orgia sfrenata. I compagni sentirono
un rumore infernale provenire dalla camera del campione, ma pensarono
che fosse un attacco di pavus nocturnus, a cui egli era soggetto, e si
addormentarono.
Intanto Isabelle si palesò davanti alla camera di Pozzi, dove stavano
di guardia Borzignon e Panozzo, e li stroncò con due colpi di kung-fu,
di cui era esperta. Indi si presentò in tutta la sua bellezza a Pozzi,
che stava dormendo abbracciato a un orsacchiotto di pezza alto due
metri, che era il suo giocattolo preferito fin dalla tenera infanzia.
Pozzi si svegliò e i suoi occhi ebbero un bagliore: si avventò sui
rusticani e solo sei ore dopo, sazio, si abbandonò sul letto fumando
una sigaretta.
La mattina dopo Girardoux si presentò alla partenza coperto di crema
fino alla testa, e con le narici completamente otturate dallo
zucchero. Pozzi invece fu legato alla bicicletta con quattro tiranti
perché non stava nemmeno in piedi per i dolori alla pancia. La tappa
era di tremila chilometri, e comprendeva tra l'altro la Maiella, le
Ande, il Mac Kinley, il ghiacciaio dello Jungfrau, l'attraversamento
del Gobi e un esame di cultura generale.
Pozzi e Girardoux ai mille chilometri avevano sei giorni di
svantaggio: ai duemila un mese e mezzo. Borzignon arrivò a New York
primo, salutato da dieci milioni di persone entusiaste, vinse la tappa
e il giro.
Pozzi e Girardoux non arrivarono quell'anno, né quello dopo. Il terzo
anno il cronometrista disse: «Vado a dire a casa che tardo», e sparì.
I giornali ne parlarono per un po'. Qualcuno disse che i due avevano
sbagliato strada, ed erano precipitati in un burrone vicino a Mosca.
Altri ancora che avevano messo su una discoteca sulle montagne
Abruzzesi ed erano falliti. Altri dissero che Pozzi era fuggito in
America e viveva nelle fogne dove aveva fondato una setta segreta
Voodo, e due portoricani asserirono di averlo visto apparire
invecchiato e con una lunga barba, da un water di Manhattan. Girardoux
invece aveva cambiato sesso a Casablanca ed era diventato una santa.
Dopo qualche anno, però, nessuno si ricordò più di loro.
Solo il vecchio meccanico di Girardoux, Rougeon, aspettò seduto sul
bordo della strada altri nove anni il suo pupillo col cacciavite
multiplo in mano, mirabile esempio di fedeltà. Dieci anni fa su quel
punto della strada fu costruito un palazzo residenziale di nove piani.
Dopo lunghe consultazioni, si decise di lasciare Rougeon al suo posto,
e infatti, fino a tre anni fa, chi voleva vedere il meccanico di
Girardoux, poteva andare al pianterreno del palazzo dove, protetto da
una griglia di vetro, c'erano tre metri quadrati della vecchia strada
e Rougeon seduto su un pilastrino. Finché, appunto tre anni fa, una
mattina alle 8,30 Rougeon disse: «Beh, adesso mi sono rotto i
coglioni», si alzò e se ne andò. Appena fuori dal palazzo finì sotto
un autobus. Aveva cento quattordici anni.
Uomini così non ce ne sono più. E neanche come Pozzi e Girardoux. Dio
sa dove sono.