Betori dopo l'incarico alla diocesi di Firenze: "Ora i miei colori sono viola"
GIACOMO GALEAZZI
CITTA' DEL VATICANO
Per amore di Firenze abbandono la mia fede bianconera». Il successore del cardinale Ennio Antonelli sulla cattedra di San Zanobi e di Sant’Antonino si presenta ai fiorentini contraddicendo l’antico adagio che nega ai tifosi la possibilità di cambiare casacca. «Mi sembra che il mio immedesimarsi con la città di Firenze richieda anche qualche sacrificio - spiega monsignor Giuseppe Betori a Radio Toscana -. Io sacrifico molto volentieri il mio sentimento bianconero».
Con una spiegazione, tra il serio e il faceto, destinata a far arricciare il naso ai tanti estimatori curiali della società più scudettata d’Italia, soprattutto ora che in Vaticano le principali cariche nei dicasteri e nella diplomazia pontificia sono occupate da prelati piemontesi, a partire dal segretario di Stato Bertone. «Nessuno è perfetto, neanche l’arcivescovo di Firenze, che può avere dietro di sé qualche macchia, nel suo passato: ad esempio questo sentimento di attenzione verso una certa squadra calcistica, che ovviamente è già stato abbandonato», si giustifica Betori. Una «captatio benevolentiae» verso il gregge di fedeli viola che precede di quattro giorni il suo addio alla poltrona di «numero due» della Chiesa italiana. «Visto che la Fiorentina ha giocatori e allenatori che hanno militato nella squadra avversa, penso che possa avere un tifoso in più che è stato, nel passato, un tifoso di parte diversa», aggiunge.
Il ministero episcopale dell’arcivescovo Betori inizia, quindi, con un’«abiura calcistica» simile a quella dell’allora sindaco juventino di Roma, Walter Veltroni, fan «autosospeso» in Campidoglio tra romanisti e laziali. A una settimana dal suo insediamento nell’arcidiocesi toscana il segretario generale uscente della Cei (sicuro cardinale al prossimo concistoro) lascia il «personale sentimento» per la Juve e abbraccia quello per la squadra viola riallacciando i fili della memoria al passato di giovane «angelo del fango» durante l’alluvione di Firenze del 1966. «Non ho salvato né un quadro né un libro. Ricordo però di aver recuperato una cassetta che conteneva le lettere d’amore che una vecchia signora aveva ricevuto dal marito, ormai morto - racconta Betori -. Dalla cantina, dove la cassetta era custodita, riemerse la vita di questa donna, la sua memoria: penso che per lei quelle lettere fossero importanti quanto il crocifisso del Cimabue».
Juve addio, dunque. Tutto il contrario di quanto fece quattro anni fa, da arcivescovo di Genova, il cardinale Tarciso Bertone, supporter zebrato «doc», tanto fedele alla Vecchia Signora da improvvisarsi telecronista e commentare Samp-Juve per un’emittente locale genovese e per «Quelli che il calcio». Una fedeltà ben nota in Curia, apprezzata e persino condivisa. «Dobbiamo telefonare subito al cardinale Bertone per congratularci della Juve promossa in A», reagì papa Ratzinger al ritorno dei bianconeri nella massima serie. Una «benedizione» riferita dallo stesso Bertone in un «forum» alla Radio Vaticana. Il Pontefice, infatti, partecipa del tifo calcistico del suo principale collaboratore, arrivando anche a incoraggiarlo come ha fatto nel viaggio in Brasile evocando la telecronaca del 2004. Con Bertone, nel Palazzo Apostolico, è arrivato anche un maxi televisore al plasma, collocato in una sala speciale della prima loggia, dove il segretario di Stato, con un gruppo di suore, segue le partite della Juve. Passione e competenza da ex terzino della squadra dell’oratorio salesiano Valdocco a Torino. I giocatori prediletti? «Boniperti e Del Piero, campioni nel rispetto dell’avversario», scandisce Bertone. Accanto a loro «il grande Charles, correttissimo, mai stato espulso».