Caso Eluana, la nuova battaglia
sui ricordi delle compagne
Dopo il verdetto della Cassazione, si riapre il capitolo sulle verità della donna in coma da 17 anni
Eluana Englaro (LaPresse)
Eluana Englaro (LaPresse)
UDINE — Con Terri Schiavo fu peggio. In Florida c'era una famiglia divisa. Madre, padre, sorella e fratello contro il marito. A raccontare episodi della sua infanzia, per dire che non voleva morire, che amava la vita. A supporto delle proprie tesi, ogni fazione esibiva le rispettive prove viventi. Come la compagna di liceo Diane Meyer, chiamata sempre a raccontare di quella sera davanti alla televisione nel 1981. Di quando lei fece una battutaccia sullo stato di Kern Ann Quinlan, una ragazza in come irreversibile da sei anni. «Terri mi saltò alla gola. Disse che non capiva come medici e avvocati potessero decidere della vita di una persona. "Finché c'è vita c'è speranza", mi urlò».
Infine ci siamo arrivati anche noi. La volontà presunta di chi non può più rispondere è l'ultima ridotta della battaglia. L'argomento più facile da spendere su una questione tremendamente difficile. «Non l'ho mai sentita invocare la libertà di morire» ripete ora Laura Magistris, per cinque anni sua compagna di classe. Lo aveva già detto il 25 luglio dell'anno scorso, e anche nel 2006. A risalire una storia purtroppo cominciata il 18 gennaio 1992, di queste testimonianze sono pieni gli archivi e i faldoni giudiziari. L'ex professore di Filosofia che non ricorda di avere mai sentito da lei prese di posizione sul senso della vita. La sua amata insegnante di Italiano sicura che il dibattito in classe sulla sorte di Rosanna Benzi «non andò come è stato ricostruito dai giudici». La discussione sulla donna che visse in un polmone d'acciaio è citata in alcune deposizioni «favorevoli » a Beppino Englaro. La volontà della ragazza di Lecco sarà anche l'oggetto dell'indagine decisa dal procuratore capo di Udine, Antonio Biancardi. Tre giorni fa aveva dichiarato che «non avrebbe aperto alcuna inchiesta », in quanto sulla vicenda era stata raggiunta «la certezza del diritto». Gli esposti ricevuti nelle ultime ore hanno fatto cambiare idea al magistrato.
La nuova inchiesta giunge ad appena nove mesi dalla sentenza della Corte di Appello di Milano, confermata nello scorso novembre dalla Cassazione, che trattava quasi esclusivamente questo aspetto della vicenda. «Eluana mi ha parlato di Alessandro, un suo amico in coma per un incidente di moto. Mi aveva confidato che secondo lei era meglio se fosse morto perché quella non poteva considerarsi vita». Così dice ai giudici milanesi Francesca Dell'Osso, amica di Eluana, ed episodi sono raccontati da Laura Portaluppi e Cristina Stucchi. Ma la Corte d'Appello non riduce tutto ad una questione aneddotica, alla memoria di un singolo episodio. Nel ricostruire la «volontà presunta» della donna, antepone a tutto la ricostruzione della sua personalità fatta dal padre e dalla madre Saturnia «con atteggiamento pacato ma fermo e preciso, senza alcuna tendenza a "mettere in bocca" alla figlia parole del tutore». In questo modo si attiene al principio di diritto imposto dalla Suprema Corte. «Non è indispensabile la diretta ricostruzione di una sorta di testamento biologico effettuale di Eluana (...) ma è piuttosto necessario e sufficiente accertare se la richiesta di interruzione del trattamento formulata dal padre riflettesse gli orientamenti della figlia». Non il singolo episodio, dunque, ma il contesto di una vita intera. La conclusione, si sa, è netta: «Può ritenersi che, effettivamente, per Eluana sarebbe stato inconcepibile vivere senza essere cosciente, senza essere capace di avere esperienze e contatti con gli altri». Aggiungono i giudici: «Sarebbe davvero poco coerente con la realtà dei fatti non riconoscere che le indicazioni testimoniali su questo punto sono di una tale chiarezza, univocità, concordanza e ricchezza di dettagli da non poter dare adito a dubbi». Questi sono, o sarebbero, i punti fissi sulla «volontà presunta» di Eluana.
Ma se non sono tali, non sono «certezza del diritto» neppure per un esponente della magistratura, difficile che possano esserlo anche per i sostenitori di una scelta diversa. E allora tutto diventa materiale utile per supportare una tesi diversa sulle scelte di vita di questa donna. Margherita Coletta, vedova di Giuseppe, carabiniere assassinato a Nassiriya il 12 novembre 2003, non si esprime sulla volontà di una ragazza mai conosciuta, ma racconta che durante una sua visita, Eluana avrebbe sorriso ad una battuta. Il rapporto con Englaro deriva dalla condivisione di una tragedia. Suo figlio Paolo è morto a sei anni, di leucemia. Nel 2005 Pietro Crisafulli conosce Englaro ad una trasmissione televisiva dove racconta la storia di suo fratello Salvatore, risvegliato dopo due anni di coma. I due si tengono in contatto. Si incontrano, una sola volta, a Lecco. Poi si perdono di vista. Con una lettera al Tgcom, ora Crisafulli svela che il padre di Eluana gli avrebbe fatto una lunga confessione. «Non era vero niente che sua figlia avrebbe detto che, nel caso si fosse ridotta ad un vegetale, avrebbe voluto morire. Si era inventato tutto perché non ce la faceva più a vederla in quelle condizioni ». Per tre anni, Crisafulli ha custodito questo sconvolgente segreto. «Non volevo che tutta questa storia fosse strumentalizzata », ha detto al Giornale. Magistrati, compagni di scuola, amici veri o presunti. La sarabanda è partita. Un quarto d'ora di celebrità (tristissima, dolente) non lo si nega mai a nessuno.
Marco Imarisio
06 febbraio 2009