La situazione sociale è allarmante. Centri di detenzione per immigrati senza documenti, deportazioni quotidiane, roghi e aggressioni razziste, schedature su base etnica, esercito nelle strade.
Pensavamo che questi spettri appartenessero ad un passato di barbarie ormai dimenticato, e invece, con l'arte dei piccoli passi e col linguaggio suadente della democrazia, sono infine tornati a tormentare i nostri sogni, fino al punto di essere accettati passivamente da tutti come una drammatica normalità.
Nessuno sembra opporsi realmente a questo scenario inquietante, e proprio come negli anni della Germania nazista la gente perbene passeggia indifferente davanti alle mura dei lager, legge sui giornali le notizie che arrivano dai fronti di guerra, e plaude allo spettacolo delle autorità che marcia sulla pubblica piazza, mentre i dissidenti vengono arrestati e la polizia spara agli immigrati per le strade.
A trarre vantaggio da tutto questo, come sempre sono i padroni dell'economia, e a pagarne le spese sono le fasce più deboli della società. I governi di destra e sinistra che si sono succeduti in questo paese non hanno segnato alcuna differenza significativa rispetto a questa tendenza.
Insieme hanno imposto le leggi che regolamentano il controllo, la detenzione e l'espulsione dei migranti e insieme hanno forgiato il linguaggio xenofobo che, alimentato dai media, si riproduce quotidianamente a tutti i livelli della società.
In questo quadro, quando il razzismo è ordinaria amministrazione delle istituzioni, non stupisce che l'azienda dei trasporti, la compagnia aerea, l'organizzazione caritatevole (leggi C.R.I. rea di aver lasciato morire un'immigrato senza alcuna intenzione di soccorrerlo pur avendone la possibilità nonchè il diritto/dovere n.d.r.), e addirittura i farmacisti (le famose farmaspie - ndr) diventano complici dell'orribile macchina delle esplulsioni, un'apparato repressivo che una volta messo in moto va avanti da sè, garantisce ottimi guadagni ai 'padroni' e condanna ad una vita di emarginazione, folle di senza-nome, costretti a vendersi come manodopera a basso costo in cambio di una sopravvivenza fatta di privazioni e umiliazioni.
Accanto al razzismo delle istituzioni, cè poi il razzismo pià strisciante diffuso, che è poi anche quello più becero. Quando non si presenta nella sua veste più nostalgica, con i fascisci che picchiano e incendiano nella notte, assume l'immagine del cittadino bisognoso di maggiore sicurezza, e lo fa alla luce del giorno.
Intimorito dal mondo che lo circonda, un mondo fatto di povertà e guerre tra poveri, attraversato dai conflitti e tensioni sociali, attribuisce allo straniero le cause del proprio malessere e si improvvisa promotore di marce per la legalità e ronde di quartiere (in un paese che conta il maggior numero di 'censurati' in parlamento... ndr).
Ed è questo in fondo il segnale più agghiacciante, l'arroganza di un razzismo che si organizza per anticipare e fomentare l'azione repressiva dello Stato, in un medesimo disegno di odio. A fatica si riesce a tenere il conto delle aggressioni che questo clima di sospetto e intolleranza ha reso possibili. Per questo occorre fare qualcosa prima che la situazione peggiori ulteriormente.
Fortunatamente la pace sociale non è mai completamente assicurata e il territorio urbano diventa anche il luogo di innumerevoli resistenze. I quartieri, le strade, i mercati sono il teatro quotidiano di una fitta rete di solidarietà tra gli sfruttati, spesso silenziosa o fatta di piccoli cenni, ma che in qualche misura costituisce una prima forma di autodifesa dai controlli e dalle retate della polizia.
Muta, spesso difficile da decifrare, la rabbia degli esclusi esplode solo di tanto in tanto, dando vita a quelle rivolte brevi ma intense che da sempre agitano i sonni di chi ci comanda. Alcune lotte talvolta riescono a rompere il muro del silenzio che le avvolge e ad urlare all'attenzione pubblica le proprie rivendicazioni di libertà: scegliere dove vivere, avere una casa, rimanere assieme ai propri cari.
Torino, città dove ogni angolo di strada ricorda i morti nella Resistenza, cresciuta ieri sullo sfruttamento dei migranti italiani che arrivavano dal sud, è oggi territorio multietnico e crocevia di culture e storie personali provenienti da tutto il mondo. Centro politico ed economico, promessa di lavoro e sogno di benessere, la città offre un terreno privilegiato sul quale le contraddizioni sociali si fanno più visibili e nuove esperienze nascono dall'incontro di soggetti in lotta per la propria esistenza.
Una di queste esperienze è il percorso che ci ha avvicinato in questa calda estate di lotte e piccole resistenze.
Cinque mesi che incominciano con una rivolta nel Cpt torinese e si susseguono tra episodi di razzismo e lotte di migranti, azioni di solidarietà e storie di ordinaria repressione. Cinque mesi che dipingono un mondo inaccettabile, e che hanno visto alcuni uomini e donne unirsi tra loro, intrecciare nuove relazioni e affinare progressivamente le proprie capacità d'intervento.
L'assemblea antirazzista, occasione d'incontro che ha reso possibile questa continuità, ha posto lentamente le basi di un dibattito tra sensibilità e biografie differenti, ma è cresciuta soprattutto nell'urgenza di trovare soluzioni pratiche e comunicative che sappiano contrastare per quanto possibile il razzismo dilagante.
Ci siamo posti il problema di trovare dei modi adeguati e proporzionati alle nostre forze per denunciare pubblicamente l'ingiustizia sociale e tentare di combatterla, per rendere effettiva la solidarietà e sostenere gli immigrati che scelgono di lottare. Come si può ostacolare una retata? Come rallentare una deportazione? Come reagire velocemente quando la polizia picchia o uccide per strada così come nei Ctp? Come mantenere aperti quei pochi spazi di libertà in cui italiani e stranieri possono ancora incontrarsi? Come ci si può organizzare insieme per soddisfare bisogni primari come la casa?
Molte delle vicende che narriamo le abbiamo vissute in prima persona, altre le abbiamo apprese dai giornali o ci sono state riferite da nostri conoscenti. Ovviamente non aspiriamo a rappresentare un quadro completo del conflitto sociale in corso, ma i fatti che riportiamo seppur parzialmente disegnano in qualche modo i confini di forti tensioni, illuminano la natura oppressiva del discorso razzista e securitario, offrono esempi di lotta e di solidarietà immediatamente comprensibili e facilmente riproducibili da chiunque senta, oggi più che mai, la necessità dell'antirazzismo.
Sabato 24 Maggio 2008
Fathi Hassan Nejl, magrebino di 38 anni recluso nel Cpt, viene trovato morto nella sua cella, in circostanze non ancora rese note. Nonostante le richieste di aiuto dei suoi compagni, le guardie e la Croce Rossa lo hanno lasciato nel letto con la bava alla bocca. "Qui siamo come in un canile, dove se abbai nessuno ti risponde", dicono gli immigrati, e in tanti annunciano uno scipero della fame. A pranzo e cena vengono mischiati nel cibo psicofarmaci senza nessun nesso medico ai detenuti, e questa è prassi quotidiana.
Segue racconto dettagliato da maggio sino ad oggi delle azioni dell'assemblea anti razzista di Torino, di cui a breve riporterò il link.
A Fathi (RIP) e Aldo per la sua inarrestabile voglia di mettersi di traverso.
assembleaantirazzistatorino@autistici.org