Facevano a pezzi i cadaveri
e poi fotografavano le ossa
Hanno ucciso civili afgani per sport, per ammazzare il tempo. Alcuni soldati americani, tutti componenti della Quinta brigata di Combattimento «Stryker», hanno meditato per settimane sull’idea, poi l’hanno messa in opera, in un giorno dello scorso inverno, il 15 gennaio nel villaggio di La Mohammed Kalay. Il Washington Post cita oggi i documenti dell’inchiesta avviata dalle Forze armate americane.
Soddisfatto dalla riuscita del primo «agguato», il «Kill team» ha proseguito nei giorni e nelle settimane successive: l’uccisione a caso di civili era seguita dallo smembramento dei cadaveri fino agli scatti fotografici di ossa e teschi. L’inchiesta vuole accertare anche le responsabilità dei superiori: i genitori di uno dei soldati hanno detto di aver ripetutamente cercato di avvisare le autorità militari dopo il racconto del figlio. Al momento sono cinque i soldati sotto inchiesta per tre omicidi nella provincia di Kandahar tra gennaio e maggio. Altri sette soldati sono indagati in relazione al caso, e per possesso di hashish e tentativo di depistaggio delle indagini.
Le udienze preliminari del processo a loro carico dovrebbero svolgersi quest’autunno alla base Lewis-McChord, in cui è stazionata la brigata Stryker (così rinominata al suo ritorno dall’Afghanistan lo scorso luglio). Lo scorso 14 febbraio, un ex marine di Cape Coral in Florida, Christopher Winfield, aveva parlato via Facebook con il figlio, Adam che gli aveva confidato di aver avuto un problema con il suo capo squadra, Gibbs, e di aver detto, più misteriosamente, che alcuni riescono a cavarsela anche dopo un omicidio. Alla richiesta di ulteriori spiegazioni, Adam ha scritto, «non hai capito quello che ti ho già detto», aggiungendo l’episodio di Mudin e denunciando le minaccie rivolte contro di lui perchè non approvava il gioco. «Sono rimasto sotto shock e terrorizzato per la sua vita», ha dichiarato Christopher in una intervista al quotidiano americano, in cui ha precisato di aver subito telefonato all’ispettore generale dell’esercito per denunciare l’accaduto, poi una seconda volta, e in seguito un’altra telefonata alla base di Lewis Mc-Chord, dove gli hanno consigliato di rivolgersi alla divisione criminale dell’esercito.
Sempre senza risposta, si è rivolto al comando di Fort Lewis e ha parlato per 12 minuti con il sergente di guardia , a cui ha anche detto del piano per assassinare altri afghani a breve, questi gli ha detto che, pur comprendendo che Adam era in pericolo, l’unica possibilità era quella di denunciare l’accaduto ai suoi superiori diretti in Afghanistan. Otto giorni dopo, il secondo omicidio, quello di Marach Agha, vicino alla base operativa avanzata di Ramrod. A marzo, cinque soldati, oltre a Gibbs, Michael Wagnon, originario di Las Vegas, autore del secondo omicidio e accusato di aver conservato il teschio di un afghano, i sergenti Robert Stevens, Darren Jones e il soldato semplice, Ashton Moore, hanno aperto il fuoco contro tre afghani. La loro vittima successiva è stata colpita il sue maggio: a lanciare granate contro il religioso Mullah Adahdad, sempre vicino alla base, Gibbs, Morlock e anche Adam Winfield.