Domenica 29 giugno 1958. Stadio Rasunda di Stoccolma: si gioca Brasile-Svezia 5-2, finale mondiale. L’altoparlante scandisce la formazione carioca. Gilmar, D. Santos, N. Santos, Zito, Bellini, Orlando, Garrincha, Didí, Vavá, Pelé, Zagalo. Il numero dieci è un ragazzino di Três Corações con i capelli a spazzola, dall'aspetto quasi filiforme. Al settimo del secondo tempo Pelé, questo il suo nome, diciotto anni, segna un gol delizioso: un pallonetto a superare il difensore che lo marca, seguito da un preciso tiro al volo di collo. Poco dopo il terzino sinistro della Svezia lo fa rotolare con un'entrata da panzer. Pelé si rialza e segna ancora. Vicecapocannoniere del mondiale, vinto, con sei gol.
Il mito. Dopo di lui tutto il resto. Scrivi Pelé, leggi “calcio”. Edson Arantes do Nascimento compie 70 anni. E con lui un'intera generazione, quella che amava i Beatles e i Rolling Stones senza disdegnare le curve di Marilyn Monroe, il fascino di Brigitte Bardot e Sofia Loren, il megafono di un momento storico idealista e confuso che si identificherà nei mitici Settanta. Pelé ha 70 anni. Età da pensionato in fila alla banca. Eppure la sua popolarità è intramontabile.
L'occasione giusta per fare il bilancio di una vita. La parentesi calcistica è stata breve ed effimera, l'altra vita invece molto più importante e O Rey ha passato l'esame pure come uomo. Chissà come si vede la vita a 70 anni. A 70 anni si incominciano ad avvertire le responsabilità, si inizia a pensare che questa partita sta andando verso la fine e si riflette: Pelè ne ha già fatta di strada. Se gli anni Sessanta erano così favolosi il merito è anche suo. Era il calcio giocato dai ragazzi figli del dopoguerra. Un calcio che non era inquinato dalla televisione. Anche a livello professionistico, lontano anni luce da quello scientifico di oggi, vivisezionato dal moviolista di turno.
Tecnica inarrivabile, velocità, scatto, estro, dribbling. Forte coi due piedi, implacabile di testa, forse sarebbe stato bravo anche come portiere (ruolo poi calzato con scarsa fortuna da suo figlio). Una marcia in più rispetto agli altri, sapeva sempre quello che bisognava fare, e lo faceva più velocemente degli altri. E' stato l'allegria del popolo. Qualcuno, in Brasile, ricorda il gol numero 1000, nel 1969. Maracanà, nella partita col Vasco da Gama. Alla sua maniera, leziosa ma concreta, leggera e mai irridente. Chi ama il calcio ama Pelé, per quello che ha fatto e per come si è riuscito a conservare. Chi come lui? Di Stefano, Schiaffino e Puskas? No. La solita domanda Pelé o Maradona (a proposito, il Pibe de Oro, coincidenza, fa 50 anni)? Bella lotta, infinita. Ma Pelé è Pelé. Messi e Ronaldo? Non ne parliamo.
La memoria riscopre lampi e frammenti. Una generazione intera fu conquistata dalla bellezza del gol che spezzò Brasile-Italia in Messico nel 1970 e scrisse che era perfetto, con il celebre stacco sulla capoccia di Burghinch. Il Sun in prima pagina si diede domanda e risposta: "Come si scrive Pelé? Dio".
Caro Pelé, caro campione immortale, la star imbavagliata da Trapattoni in un freddo pomeriggio di San Siro, è inutile fingere. La sua gente l'ha chiamato O Rey. Il re non è morto, è solo in pensione. E non c' è nessuno che ha preso il suo posto. Ma c'è un velo di malinconia in questi auguri. Il battito del tempo scandisce troppo cinicamente la vita e il pensiero di un Pelé settantenne sembra irreale. Sì, perché le date comunicano con il tiepido linguaggio dei numeri. Ma molti di noi, anche se ancora non c'eravamo, siamo fermi a quel giugno del '58.
ItaliaInformazioni | Pelé, 70 anni da re del calcio Auguri O Rey, dopo di te tutto il resto
AUGURISSIMI ò RE
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