ora, a parte il materiale refrattario che ognuno vuol utilizzare per la costruzione della casa (non e' che il vetro , da solo, come materiale edile mi dia poi cosi' tante garanzie), ma davvero pensi che se il m5s prendesse in mano le redini (e resta da stabilire perche' e come), la situazione migliorerebbe?
a quanto pensi che dovremmo pagare il nostro debito pubblico?
e pensi che di quella situazione soffrirebbero di piu' le classi piu' abbienti o quelle meno abbienti?
poi si puo' ululare al complotto plutogiudaicomassonico, ma se il capo diventa uno che dichiara di non voler pagare tutti i debiti, quanti pensi che gli faranno credito?
ah, dimenticavo, checcenefrega, tanto usciamo dall'euro e ci stampiamo le lire, i talleri, i baiocchi , i fiorini, i casaleggi d'argento...........coi quali ci compreremo il petrolio e il gas...........che si comprano in dollari, e che ci costeranno immediatamente il 30% di piu'......a esser buoni
ah, no, scusa, dimenticavo che avremo le rinnovabili, a impatto zero e a costi risibili.........gia', pero', con che le finanziamo?
ah dimenticavo i cacciabombardieri............che peraltro vengono costruiti anche da noi
ma checcenefrega.........avremo le giornate piene e ci beeremo di controllare valanghe di scontrini fiscali pubblicati sul sito del governo..........e avremo finalmente una classe politica onesta e trasparente..................
avremo..................avrete, per quanto mi riguarda
fortuna che ho imparato abbastanza bene l'inglese
......................aggiungo
Elogio del compromesso
Dai Cinque Stelle a Bersani, passando per Dario Fo, la mediazione viene demolita come un valore negativo. Ma senza non si governa. E l’intransigenza porta alla vera paralisi
«L’arte del compromesso, che è stata un’arte della politica, non è più valida». Beppe Grillo, nell’intervista a «Time», è stato chiaro. Dario Fo: «Se andiamo col compromesso, andiamo a rifare tutto daccapo. Troppa intransigenza? Ma è per mancanza di intransigenza che siamo arrivati a questo punto». Pierluigi Bersani ha poi detto senza metafore: «Non riteniamo né praticabili né credibili accordi di governo tra noi e la destra». La portavoce Alessandra Moretti ha aggiunto: «Non possiamo scendere a compromessi con Berlusconi». Per il Pdl ha chiuso il cerchio Cicchitto: «Il nodo politico resta uguale, non ci si può chiedere di fare un accordo».
Sembra ci sia un solo punto su cui i tre partiti protagonisti della politica italiana possono essere d’accordo: non si metteranno mai d’accordo. Risultato? Lo stallo. Non si tratta certo di un’eccezionalità italiana. «Il rifiuto sistematico del compromesso è un problema per ogni democrazia. Pregiudica il progresso politico e favorisce lo status quo», scrivono in The Spirit of Compromise. Why Governing Demands it and Campaigning Undermines it (Princeton University Press, 2012) Amy Gutmann e Dennis Thompson, rispettivamente presidente dell’Università della Pennsylvania e professore di filosofia politica a Harvard. I due politologi prendono in esame casi esemplari dalla politica Usa. Tra i quali il dibattito del 2011 sul tetto del debito sovrano: «Un Congresso diviso. Un accordo tra i due partiti appariva l’unica via per evitare il rischio default. Obama riuscì ad annunciare che i leader di democratici e repubblicani avevano raggiunto un accordo solo all’ultimomomento, la notte del 31 luglio». Preferire lo status quo non vuol dire lasciare le cose immutate. «Significa solo che i politici lasciano che siano altre forze a controllare il cambiamento», spiegano Gutmann e Thompson.
Ma l’ostilità al compromesso continua a crescere. Come mai? Secondo i due autori i fattori determinanti sono tre. Primo: la campagna elettorale permanente. «Prima del voto è un processo democratico indispensabile», scrivono. Il problema nasce quando diventa «intrusiva nell’attività di governo». Secondo: «La tendenza dei media a seguire la politica come le corse dei cavalli». Chi ha vinto? Chi ha perso? Con quale distacco? Sia che si tratti della competizione elettorale, sia dell’attività di governo. Terzo: la caccia ai soldi. «Dal primo giorno dopo le elezione, i deputati iniziano il fundraising per essere rieletti. Una raccolta fondi no stop che li tiene impegnati costantemente a scapito della loro attività». Dei tre il più pesante è il primo, influenza anche gli altri due. «Una campagna appassionata gioca un ruolo morale e pratico in democrazia. Fa sì che i candidati possano comunicare quali sono i loro principi guida e il modo in cui si differenziano dagli avversari. Ma quell’atteggiamento chiuso al compromesso non è utile quando è il momento di governare: un leader eletto a quel punto non deve solo tenere fede ai suoi principi, deve anche fare concessioni. Deve rispettare i suoi oppositori e collaborare per legiferare». Il rifiuto del compromesso quando è tempo di governare è «una specie invasiva proliferata fuori dal suo habitat naturale».
Rimedi? «Più educazione civica e una riforma della campagna elettorale. E far vivere insieme i politici a Washington per più tempo» è la ricetta di The Spirit of Compromise. Spesso infatti i deputati tornano a casa, da chi la pensa come loro. «Così non si contaminano con chi ha idee diverse». Il resto dovrebbero farlo gli elettori: «Dovremmo iniziare a premiare i politici che scendono a compromessi, anziché punirli», è l’auspicio dei due professori. C’è chi invece continua a sperare: «Il mio partito avrà la maggioranza assoluta e potrà realizzare il suo programma, senza cedimenti». Una prospettiva allettante? «Un sogno», per Gutmann e Thompson. «È altamente improbabile che un partito solo ottenga il controllo di tutto. E anche se andasse così, avrebbe comunque divisioni al suo interno. Neanche una leadership forte sarebbe sufficiente. Non si scappa dal compromesso».