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Come ormai si usa, la giornalista del Fatto cita Polito solo per quanto gli può far comodo, evitando l'essenza del suo ragionamento
La prima regola è che i fatti contano più delle parole. Dopo quella telefonata - durante la quale il ministro non ha parlato come un ministro - la Cancellieri compì atti contrari ai propri doveri d’ufficio? Secondo la Procura, secondo i vertici del sistema penitenziario, e da ieri secondo il Parlamento, non li ha compiuti. Si fanno spesso paragoni con Paesi più virtuosi ed esigenti, dove i ministri si dimettono per non aver regolarizzato una colf o per aver copiato a un esame. Ma in Paesi con telefoni meno intercettati, la sanzione politica riguarda pur sempre atti effettivi, accertati, gli unici su cui può giudicare l’opinione pubblica. Sui peccati compiuti con pensieri e parole si risponde solo in confessionale, o alla propria coscienza. Anche nel diritto penale le intercettazioni sono considerate uno strumento di ricerca della prova, non la prova.
Seconda regola aurea: l’indignazione non può essere a corrente alternata. Faceva ieri un certo effetto vedere Montecitorio che si dilaniava sulle telefonate della Cancellieri e non sulle responsabilità della tragedia in Sardegna. Nei famosi «Paesi civili» sempre invocati, ci si dimette per una mancata prevenzione o un tardivo soccorso. Da noi ormai si accetta un disastro ambientale all’anno come una fatalità. Non è anche questo uno standard inaccettabile di moralità pubblica? Coloro che imputano alla Cancellieri di aver trascurato gli altri detenuti per favorirne una, sono gli stessi che (Grillo e Renzi in testa) si opposero all’amnistia proposta dal ministro per alleviare la scandalosa condizione di tutti i detenuti italiani. Quando avrà finito con i tabulati telefonici, la politica discuterà con la stessa passione del piano-carceri?