Come spunto di riflessione, penso che nel campo del sovrasensibile, cioè in quell'ambito che avvertiamo presente ma che non è percepito con i sensi ne misurabile dalla scienza, si intrecciano moralità e spiritualità. Se la prima nasce dall'uomo e dalle influenze sociali e culturali, ed alle relazioni fra uomini è rivolta, lo spirituale lo avvertiamo come provenire dall'alto, da regioni extra umane, e verso l'alto ci guida, come a superare i comportamenti prettamente materiali che sono propri della nostra natura di uomini.

in questa dimensione si collocano le religioni, che hanno in se il limite di compiere per l'uomo un lavoro che dovrebbe essere invece individuale, quello che Le Loup chiama ricerca spirituale.

Credo che faccia parte del nostro percorso evolutivo raggiungere una dimensione spirituale per la strada interiore della ricerca, dopo essere passati ( o al posto di ) dall'accompagnamento delle religioni costituite. i dettami delle religioni hanno quindi la funzione di indicare una strada che poi ognuno deve, se vuole, percorrere individualmente, rendendo conto agli dei con il proprio comportamento quanto si avvicini a loro, e quanto ne rimanga distante.

chi si converte in punto di morte, credo che lo faccia perchè in quel momento di passaggio, alle soglie dell'ingresso nel mondo spirituale, sente con più chiarezza la presenza in se dell'istanza divina che possiede, e che lo sta riportando la dove tutto è nato.

E se siamo d'accordo con questo e con il fatto che il mondo materiale è nato per l'idea del mondo spirituale, si può forse dire che gli atei vivono una spiritualità ancora incerta, i seguaci delle religioni una non del tutto matura, e gli asceti sono consapevoli del rapporto fra spirito e materia.