Spiega un po'?
La teoria che lega svalutazione a crescita del Pil è apparentemente lineare. Quando un paese svaluta la conseguenza immediata è l’aumento del prezzo dei beni importati e la diminuzione di quello degli esportati. Il calo del prezzo fa aumentare la domanda mondiale di export e ciò fa aumentare la produzione e quindi il Pil. Logica tanto semplice quanto potenzialmente fallace. Molti sembrano ignorare che una svalutazione può avere effetti indesiderati, anche al di là delle turbolenze finanziarie causate da un’uscita dell’Italia dall’Euro.
Per esempio, se il paese che svaluta ha un disavanzo della bilancia commerciale, cioè importa più di quanto esporta, nel breve periodo l’effetto di una svalutazione può essere negativo sul Pil. In questo caso i guadagni in termini di aumentata domanda per l’export sono più che compensati dalla perdita dovuta al fatto che le importazioni diventano più costose. Si dirà che questo non è il caso dell’Italia visto che oggi la nostra bilancia commerciale è in sostanziale pareggio. Purtroppo è possibile che a una svalutazione segua una contrazione del Pil anche quando il valore dell’import e dell’export si equivalgono ex-ante. La svalutazione ridistribuisce ricchezza dai salari a rendite e profitti: l’aumento dei prezzi degli import riduce i salari reali, l’aumento della domanda di beni esportati aumenta i profitti delle imprese. Se, com’è ragionevole supporre, il tasso di risparmio dei lavoratori dipendenti è più basso di coloro i quali beneficiano dei nuovi profitti, la redistribuzioni riduce la domanda totale di beni e, di conseguenza, riduce Pil e occupazione.