I Sogni e la Vita
Orlando guardava ma senza quasi vederle le luci un po’ fioche dei lampioni ed i mille riflessi che giocavano a rincorrersi sulle goccioline di brina che il cielo piangeva.
-“ … e tutto mi sa di mistero…”- .
La frase continuava a martellare il suo cervello, senza un senso apparente, senza nessun nesso con il significato originario… ma era padrona e sovrana dei suoi pensieri.
Il mistero era li, impalpabile come la brina; era nel vagare dei suoi occhi lungo le crepe che il tempo aveva scavato lungo i muri della vecchia chiesa, dove aveva amato ed odiato Dio decine di volte, sempre credendo in Lui.
Perché si trovava solo, quella notte triste dei Santi, col viso bagnato di pioggerellina autunnale, a dividere in quella piazza di paese le sue ferite con le crepe di quel sagrato da sempre compagno di vita e di momenti di gioventù?
Ecco il mistero: perché a quarant’anni si sentiva l’unico ad amare ancora quella nebbia fresca sul viso e nei polmoni, il buio di quella notte, il freddo umido e pungente ma al tempo stesso amico, coperta rassicurante che avvolge e ripara?
Dove erano finiti i compagni dei sogni, quelli delle cinque di mattina a parlare di donne, a cantare canzoni, a inseguire la vita ?
Gli sembrava di vederli, al caldo tepore di un focolare uguale a quello dei telefilm, cullare meravigliosi angioletti dai boccoli biondi ed i volti da dipinto, oppure stringere corpi di donne caldi d’amore, con la pelle di seta e del color della luna.
“Perché Orlando, perché sei qui “ - si ripeteva ossessivamente – “ cos’hai sbagliato, cosa si è rotto, dove hai perso il tuo sogno? Perché non culli anche tu boccoli biondi?”
Erano stati trent’anni “vissuti davvero” i suoi primi trenta; tutti passati a cercare un futuro perfetto, sempre e costantemente, con fermezza e determinazione, fino a farsi male, fino in fondo.
Risultato….
Orlando era li nella bruma, a chiedere al cielo ed alla notte, ultima amica, oblio e pace nel cuore.
D’un tratto, come spinto da un brivido, lo sguardo si levo al cielo; uno squarcio fra le nubi e laggiù… piccola, indefinibile, quasi irreale… ecco una stella, poi un’altra e un’altra ancora e ancora… Il Carro!
Orlando sorrise e scosse il capo, portando una mano al petto, sul cuore: - “L’Orsa maggiore nella prima notte di novembre” – pensò; “è impossibile, una specie di magia, l’ennesimo sogno della mia testaccia malata”… ma continuava a sorridere.
Fin da quand’era un ragazzo, aveva sempre amato il Carro. L’aveva eletto a suo protettore, l’aveva cercato ed avuto al fianco in molti dei momenti più belli ed in molti di quelli più tristi, compagno silenzioso e fidato delle mille emozioni di una vita.
In quel momento Orlando comprese; ora percepiva chiaramente quanto in lui fosse essenziale quella malinconia, quella vena di tristezza, quel senso di incompiutezza che lo assillava spesso, nelle notti insonni di città.
La sua vita era questo: ricerca continua del sogno, corsa infinita verso l’ignoto, con l’entusiasmo di un bambino e la disillusione di un vecchio.
Questo era “essere Orlando” e non avrebbe saputo e voluto essere altro.
Non avrebbe voluto altro che continuare la sfida con i suoi mulini a vento, personaggio vivo di una storia infinita.
Ora lo sapeva: le crepe nella chiesa, come le ferita di Cristo, si sarebbero specchiate ancora, durante gli anni, nelle rughe del suo viso e lui sarebbe rimasto li, come le stelle dell’Orsa, fermo, a respirare la nebbia ed il freddo, per rimirarle ancora e ancora; sarebbe rimasto li a chiedersi il perché: questo era il suo vivere, l’essenza del suo essere.
Orlando viveva sognando, in un mondo che ormai sognava di vivere…
Sorrise, ma una lacrima lieve gli solcava il viso.
Non poteva bearsi di aver scoperto questo suo “esistere”.
Sapeva bene che essere Orlando voleva dire dividere ogni istante con la sofferenza, la paura e l’ansia di perdere quell’occasione “senso” di tutti i suoi sforzi.
Sapeva bene che suoi fedeli compagni di viaggio sarebbero stati sempre il senso di vuoto e la solitudine…
Cercò allora un ricordo felice, il granello di sabbia su cui ricostruire il suo mondo: ecco il volto caro delle anziane nonne e le loro storielle fantastiche, quello spensierato e un poco sbruffone dei “fratelli” d’infanzia, quello del suo “capitano”, sguardo profondo come il mare e profumo di tabacco…
Pensò anche a Dio, o forse fu Dio che pensò a lui, perché d’un tratto la frase nella sua mente non era più “e tutto mi sa di mistero”, ma “prendi la tua croce e seguimi”…
Un respiro profondo, fino a riempire di nebbia tutti i polmoni, poi Orlando strinse le spalle nel pastrano, aggiustò la tesa del cappello, scroccò rumorosamente le nocche e si incamminò lentamente verso casa.
L’Orsa non c’era più, nascosta tra le nubi e la bruma, ma Orlando lo sapeva che era la, in alto nel cielo terso delle sue estati future, ed era la per lui.
Ne era certo, come era certo che avrebbe dormito, quella notte, di un buon sonno ristoratore, senza sogni…..
Quelli lo aspettavano al risveglio…