già: un supporto scientifico di una rivista di psichiatria: buona lettura (integrale, mi raccomando, dato che sono convinto che in qualche modo questa pubblicazione circoli già buffamente commentata attraverso i canali alternativi di telegram e affini...

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https://www.rivistadipsichiatria.it/...0(101-105).pdf
Idioti. È molto semplice ridurre a questa definizione un fenomeno psichico con vastissime ripercussioni sociali che sta assumendo una dimensione assolutamente imprevedibile fino a tempi immediatamente precedenti il momento storico attuale.
“Idioti” sono coloro che nel contesto planetario della pandemia di covid-19 ne negano la stessa esistenza, o attribuiscono a essa un’origine intenzionale decisa da fantomatici centri di potere globale e finalizzata al controllo totale sulla popolazione mondiale, o non riconoscono efficacia o utilità della vaccinazione di massa o di altre misure rivolte al suo contenimento, o vedono in queste un ulteriore strumento di manipolazione e controllo. La gamma delle possibili teorie è, nella realtà, vastissima, ma tutte sono riconducibili a un comune denominatore ideativo che si declina nelle sue diverse forme in rapporto a suggestioni e influenze personali e ambientali: la negazione della realtà della pandemia nei termini in cui essa appare oggi presentata all’opinione pubblica dai mezzi di comunicazione sociale, la negazione della validità e dell’obiettività dei dati della ricerca scientifica su di essa, la negazione della finalità terapeutica reale delle politiche sanitarie nazionali e internazionali.
Esiste naturalmente un’ampia complessità interna al fenomeno, sulla base della prevalenza di tesi di ispirazione politica, pseudoscientifica, antiscientifica, ideologica, religiosa, ecc. Ma è significativo il rilievo che mai nessun attacco è reciprocamente rivolto tra sostenitori di diverse teorie alternative e che l’unico bersaglio è rappresentato dalla versione ufficiale e dalla visione scientifica della pandemia. Così assistiamo a una fioritura di affermazioni, anche tra loro sostanzialmente contrastanti, ma accomunate nella negazione della “versione ufficiale”. “Esiste un complotto planetario per il controllo di tutta la popolazione mondiale attraverso l’imposizione di regole sanitarie che eliminano la libertà individuale”, “esistono centri di potere che vogliono il controllo assoluto sul mondo”, “è tutta un’operazione organizzata e controllata da Big Pharma per aumentare i suoi profitti”, “con i vaccini vengono inseriti nel corpo dei microchip che permettono di raccogliere dati su tutte le nostre attività”, “i vaccini modificano il nostro codice genetico, ci renderanno sterili, ci trasformeranno in esseri incapaci di reagire alle vessazioni del potere”, “tutta la pandemia è solo un castigo divino per le colpe del mondo moderno”, solo per citarne alcune. Un affollamento di ipotesi che rifiutano alla base la visione scientifica della pandemia, formulano in modo non criticabile teorie prive di qualunque fondatezza obiettiva, si rinforzano tra di loro nonostante la spesso reciproca incompatibilità logica. Oppure, più subdolamente e a volte da parte di figure dotate di migliori strumenti intellettuali o di più spiccate tendenze al protagonismo e alla ricerca di visibilità, contestano la validità delle scelte operative dei governi, minano la credibilità delle politiche sanitarie, introducono dubbi sull’utilità o l’innocuità delle vaccinazioni di massa. Un fenomeno che nelle sue dimensioni sociali si contrappone, anche se in misura minoritaria, ma tuttavia crescente, alla visione medica della situazione sanitaria legata alla pandemia, a tutti gli sforzi, storicamente senza precedenti, della ricerca scientifica, alla vaccinazione di massa e a tutti gli altri presidi messi in campo per contrastare un evento di inimmaginabile drammaticità.
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Non si tratta naturalmente di psichiatrizzare il dissenso, attribuendo una valenza di patologia a opinioni o condotte non concordi con quelle più largamente accettate nell’opinione pubblica o sostenute dalle istituzioni, ma di tentare di raggiungere un più coerente grado di conoscenza di una situazione in cui un’apparente irrazionalità sembra svolgere il ruolo di fattore primario.
......... È evidente che, una volta estrapolate dalla dimensione della condivisione, alcune tematiche possono rientrare con assoluto diritto nell’ambito di un significato strettamente psicopatologico, se non specificamente delirante.
Quale psichiatra davanti a un soggetto che afferma, in modo non suscettibile di alcuna critica, la convinzione che gli si voglia impiantare sotto la pelle un microchip di grafene che per tutta la durata della sua vita, attraverso tecnologie 5G, trasmetterà a misteriose centrali di potere dati su tutti gli aspetti della sua esistenza e potrà condizionare il suo comportamento o la sua stessa sopravvivenza, esiterebbe più di qualche secondo a emettere la sua diagnosi? O quanti psichiatri non hanno già tante volte ascoltato nel corso degli incontri con i loro pazienti psicotici discorsi su fantomatici microchip già impiantati sotto la pelle, nei denti, nel cervello…? Quanti psichiatri dubiterebbero di poter qualificare come psicopatologica, o specificamente delirante, l’irremovibile convinzione che la morte di ogni pubblico contestatore dell’esistenza della pandemia o dell’utilità del vaccino debba essere attribuita non alle apparenti cause naturali del decesso, covid o altre, ma all’azione intenzionale di centri di potere, legati a governi e aziende farmaceutiche, motivati a eliminare fisicamente tutti i loro oppositori?
Che cosa differenzia le “teorie” di massa dalle “convinzioni deliranti” individuali che riconosciamo come tali in soggetti che definiamo psicotici? Che cosa differenzia l’atteggiamento di aprioristica diffidenza verso ogni forma di direttiva proveniente dalle istituzioni che caratterizza ogni aspetto del mondo negazionista dall’atteggiamento di base di sospettosità e interpretatività che riscontriamo in personalità paranoicali strutturalmente orientate verso elaborazioni di natura persecutoria?
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Pensiamo ai criteri dei disturbi di personalità paranoide e schizotipico, con la loro “diffidenza e sospettosità pervasive” nel primo caso e con le loro “distorsioni percettive e cognitive ed eccentricità” nel secondo, oltre a tutto l’elenco dei criteri diagnostici descritti, sorprendentemente riscontrabili in moltissimi degli enunciati e dei comportamenti dei negazionisti.
Pensiamo ai criteri per il disturbo delirante, ben più significativamente descritto in passato sotto il termine di Paranoia, con la “convinzione dell’individuo di essere oggetto di una cospirazione, ingannato, spiato, seguito, avvelenato…”.
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Ma la complessità associata alla numerosità, cioè alla ripetizione condivisa di aspetti di psicopatologia in popolazioni consistenti, consente di ipotizzare di trovarsi davanti all’immagine dell’emergenza statistica di una quantità di casi singolarmente ricadenti nelle diagnosi di disturbo di personalità paranoide o schizotipico, se non anche di reale disturbo delirante, o almeno di casi portatori di importanti tratti diagnostici in questo senso, certamente non descritta o prevedibile in tali dimensioni prima del momento storico attuale.
Naturalmente il rapporto tra alterazioni della personalità e adesione a teorie cospirative è sempre stato ben evidente anche in tempi precedenti l’attuale pandemia10,11.
Ma quella attuale rappresenta una situazione assolutamente nuova nelle sue dimensioni, che si interfaccia e si contrappone all’altra situazione assolutamente nuova della pandemia a diffusione planetaria, con la relativa “infodemia”, l’enorme quantità di informazioni e opinioni su di essa, sulle sue origini, sui suoi sviluppi, sulle possibili modalità di contrasto12.
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La dimensione nello stesso tempo globale e misteriosa della minaccia (è evidente che le conoscenze scientifiche su covid-19, anche se progredite con una velocità senza precedenti, non sono ancora conclusive) sembrerebbe avere indotto un’attivazione di tali meccanismi anche in soggetti in precedenza peraltro non propensi al loro sviluppo. Di fatto, il generico rapporto tra esperienza di stress, quale in questo caso timore di contagio, restrizioni, lockdown, isolamento sociale, etc., e risposta psicopatologica più o meno caratterizzata in senso proiettivo sembra riconoscere nell’esperienza della pandemia un fattore di attivazione di risposte a livello sociale di dimensioni senza precedenti. In questo senso, l’adesione a teorie cospirative contribuisce naturalmente a esercitare un ruolo primario su atteggiamenti psicologici anche legati a sostanziali scelte operative, quale in primo luogo il rifiuto del vaccino13.
La risposta emotiva alla gravità della minaccia sembra trovare i suoi contenuti cognitivi e pseudorazionali nelle informazioni generate e diffuse nella rete e il suo rinforzo nella possibilità di condivisione di massa offerta da questa, tanto da costituire, nello spazio sconfinato dei social media, un nuovo reale sentimento di appartenenza al mondo dell’opposizione alla visione “precostituita” e “ufficiale” dell’epidemia, così da rendere possibili esplicite manifestazioni di massa del dissenso, evoluto e articolato in visioni politiche, anche se non già confusamente ideologiche.
Ma nello stesso tempo, a un livello parallelo, la negazione della realtà della pandemia potrebbe essere in molti casi letta come la negazione dei propri limiti personali, della propria vulnerabilità e anche, a livello inconscio, della propria stessa mortalità. Così descritto, il diniego rappresenta la difesa ultima alla paura di infettarsi e di morire. La paura della morte, quindi, comporterebbe come estrema difesa la sua stessa negazione. Potrebbe essere questo il meccanismo attivo nei numerosissimi casi di persone non vaccinate e gravemente malate che non accettano il ricovero e/o le cure, incrementando nei fatti, ma non nella loro fantasia, il reale rischio di morte. D’altro canto, è possibile anche osservare la costruzione di una visione fondata su un narcisismo che ipertrofizza il sentimento del sé e rifiuta le considerazioni razionali che tentano di fornire una, per quanto possibile, obiettiva valutazione del rapporto tra dimensione generale del pericolo e rischio per la propria personale incolumità individuale.
L’articolazione nell’espressione di tale pensiero è polimorfa, in un continuum tra, da una parte, le conferme offerte dalla rete al sentimento ipertrofico del proprio sé in soggetti privi di strumenti di elaborazione culturale e, dall’altra, l’atteggiamento sofisticato e sufficiente di chi possiede invece strumenti intellettuali tali da ammantare di una veste di “teoria” l’irrazionalità delle proprie posizioni, nella più o meno consapevole finalità di alimentare narcisisticamente la propria immagine agli occhi dell’opinione pubblica o di derivarne benefici di ordine più strettamente pratico o politico.
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Potrebbe forse concretizzarsi in un imminente futuro l’ipotesi, inizialmente impensabile ma adesso di sempre maggiore potenziale realismo, che accanto alla voce degli infettivologi, dei virologi e dei gestori della salute pubblica divenga necessario ascoltare anche quella degli psichiatri, alla fine costretti a riflettere e a prendere consapevolezza dell’esistenza e dell’urgenza di comprendere e gestire, accanto all’emergenza della pandemia di covid-19, anche quella di un’“epidemia parallela”, i cui sviluppi e le cui conseguenze sociali, culturali e mentali, potrebbero essere, se possibile, ancora più gravi e devastanti di quelli legati all’epidemia infettiva.
p.s. ma poi la regina elisabetta era rettiliana o no?...a essere sinceri, il sospetto viene
