l’Africa e il resto del Terzo Mondo chiedono soprattutto di essere rispettati: domandano che l’Occidente non puntelli più i regimi sanguinari che si susseguono alla guida delle realtà post-coloniali e pretendono che i mercati europei e americani si aprano ai prodotti – agricoli e non solo – di quelle terre. Sono richieste più che ragionevoli e andrebbero ascoltate.
Gli aiuti allo sviluppo non sono necessari, né sufficienti a favorire il progresso economico nel cosiddetto Terzo Mondo. Anzi, è probabile che lo ostacolino. Il motivo consiste nel fatto che gli afflussi di aiuti causano importanti effetti negativi sui fattori determinanti del progresso economico. Ciò si è verificato fin da quando sono stati istituite le prime forme di aiuti all’estero.
Il circolo vizioso dei sussidi diretti ai governi si basa su presupposti economici fallaci, estende la corruzione nei paesi destinatari e assolve la coscienza di quelli donatori. Ma non risolve i problemi di chi sta peggio .Negli ultimi anni gli effetti negativi sono stati aggravati dalla pratica di collegare gli aiuti all’esecuzione di politiche miranti a favorire il controllo delle nascite, nell’erronea convinzione che la crescita della popolazione sia una delle principali cause della povertà nel Terzo Mondo.
Fin dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale, i sussidi sotto forma di sovvenzioni o prestiti a basso interesse concessi da parte dei governi di paesi relativamente ricchi a favore dei paesi più poveri sono diventati un elemento comune delle relazioni internazionali. Tale politica viene indicata negli Usa con l’espressione di aiuti all’estero, mentre nel resto del mondo viene detta aiuti allo sviluppo. Gli aiuti all’estero sono nati alla fine degli anni Quaranta. Il loro valore è cresciuto dalle poche centinaia di milioni di dollari all’anno agli oltre 50 miliardi di dollari l’anno negli anni ‘90. Agli esordi, i sostenitori di tale politica affermavano che la spesa di qualche centinaio di milioni di dollari all’anno per un periodo relativamente breve sarebbe stata sufficiente ad assicurare nei paesi destinatari quella che all’epoca veniva detta crescita autoalimentata, permettendo così di cessare le sovvenzioni. Circa quarant’anni e centinaia di miliardi di dollari più tardi, la prosecuzione indefinita di tale politica è data per scontata. Gli aiuti all’estero sono diventati una voce comunemente accettata dei bilanci dei paesi occidentali.rescita complessiva nel pianeta
Indicare i trasferimenti di ricchezza da parte delle autorità statali come “aiuti” favorisce un’accettazione fideistica. Le critiche vengono disarmate. Chi mai può dichiararsi contrario ad aiutare i più sventurati? L’uso di questo termine ha permesso ai sostenitori degli aiuti di rivendicare il monopolio della compassione e di far tacere i loro avversari con l’accusa di essere privi di umanità. Come che sia, l’espressione aiuti è oggi talmente diffusa che non è più possibile evitare di farne uso. Pertanto userò indifferentemente i termini trasferimenti, sussidi e aiuti e di tanto in tanto parlerò di paesi destinatari degli aiuti. Ma è opportuno rammentare che la gran parte degli aiuti statali va ai governi, non ai poveri mostrati dalla propaganda.
Gli effetti degli aiuti all’estero non possono essere desunti semplicemente sulla base delle spese di bilancio da parte dei donatori. Sono proprio gli aiuti all’estero che hanno fatto nascere il Terzo Mondo e che quindi sottendono il cosiddetto dialogo o scontro Nord-Sud. Gli aiuti rappresentano una delle cause del conflitto tra Nord e Sud, non la sua soluzione. Un’ulteriore penetrante conseguenza degli aiuti è stata favorire o esacerbare la politicizzazione della vita nei paesi destinatari. Tale conseguenza è stata negative sia per l’Occidente, sia per le popolazioni meno sviluppate.
I poveri possono produrre o assicurarsi fondi sufficienti per imboccare la via del progresso se sono determinati a migliorare le proprie condizioni materiali e non vengono ostacolati dalle politiche statali o dall’assenza di sicurezza. Possono risparmiare somme modeste anche a partire da un reddito esiguo, in modo da rendere possibile un investimento diretto in agricoltura, nel commercio su piccola scala, nell’acquisto di attrezzi o strumenti e per molti altri scopi. La disponibilità di capitale rappresenta il risultato, e non la condizione necessaria, di un buon rendimento economico. Quest’ultimo dipende da fattori personali, culturali e politici, dalle capacità, dalla mentalità, dalle motivazioni individuali e dalle istituzioni sociali e politiche. Quando tali condizioni sono favorevoli, il capitale può essere generato localmente o può pervenire dall’esterno. Le condizioni di povertà o di ricchezza, nonché la soddisfazione personale e sociale, dipendono dalle persone, dalla loro cultura e dalle strutture politiche entro le quali esse agiscono. Basta comprendere questa sequenza per capire la più importante causa di ricchezza o di indigenza.
Le autorità statali e le imprese dei paesi poveri possono attingere a fondi esterni di origine privata. Ad esempio, nell’Africa nera i mercanti europei offrono regolarmente dei prestiti ai loro clienti africani più affidabili, che solitamente sono commercianti. In effetti, questa è in pratica una condizione indispensabile per condurre un’attività commerciale in quei paesi. A loro volta qui commercianti concedono prestiti a contadini o ad altri piccoli commercianti. Considerazioni analoghe valgono nel caso dell’Asia meridionale e sud-orientale. Inoltre i governi del Terzo Mondo possono ottenere con facilità, forse eccessiva, prestiti all’estero. È evidente che la capacità di ottenere prestiti all’estero non dipende dal livello di reddito, bensì da una condotta responsabile e dalla capacità di utilizzare in modo produttivo i fondi ottenuti. Qualora i diritti di proprietà siano chiaramente definiti e ragionevolmente protetti, i fondi esterni di natura commerciale possono essere disponibili anche in condizioni di povertà e di accentuato rischio politico. Fin dalla seconda guerra mondiale sono stati effettuati in Asia e in Africa considerevoli investimenti dall’estero, a dispetto della grande incertezza. Sostenere che i popoli dell’Europa orientale o del Terzo Mondo anelino al progresso materiale ma che, a differenza dell’Occidente, non possano ottenerlo senza donativi dall’estero, è un esempio di cattivo gusto.
Dovrebbe risultare chiaro che gli aiuti allo sviluppo non sono necessari per sottrarre i paesi poveri al circolo vizioso della povertà. Anzi, è probabile che contribuiscano a perpetuare le condizioni di indigenza di tali paesi. Questo genere di sussidi instaura dipendenza, promuove l’idea che l’uscita dalla povertà dipenda dai donativi dall’estero, anziché dagli sforzi, dalle motivazioni, dagli accordi e dalle istituzioni create dai singoli individui. Sono proprio gli aiuti ufficiali allo sviluppo che creano un circolo vizioso. La povertà viene addotta a giustificazione per gli aiuti; questi, a loro volta, creano dipendenza e pertanto mantengono in povertà le popolazioni alle quali sono destinati. Inoltre, le sovvenzioni dall’estero possono favorire la convinzione che il progresso economico dipenda da forze esterne. La prospettiva di ottenere sussidi spinge i governi a cercare di ottenere un miglioramento delle condizioni economiche del loro paese mendicando o ricattando moralmente le fonti di finanziamento dall’estero, anziché esaminare seriamente le potenzialità di cambiamento esistenti in patria.
Le sovvenzioni, pertanto, aumentano le risorse, le clientele e il potere dei governi (ossia dei governanti) rispetto al resto della società. Quando la vita economica e sociale è fortemente politicizzata, le fortune degli individui finiscono con il dipendere dalla politica statale e dalle decisioni amministrative. La posta nella lotta per il potere aumenta a dismisura. Tali circostanze spingono o addirittura obbligano gli individui a stornare dall’attività economica produttiva parte della loro attenzione, della loro energia e delle loro risorse, e a preoccuparsi dell’esito delle decisioni politiche e amministrative. Questo uso improduttivo dell’energia e delle risorse della popolazione ha inevitabilmente un effetto sul rendimento
la ricchezza delle nazioni dipende dall’ingegno e dall’abilità degli uomini, uno sviluppo economico dipende dall’aumento di occupazione, bisognerebbe pensare ai poveri come una risorsa non solo come un problema….è inutile porsi la domanda di quali sono le cause della povertà ma chiederci quali sono le cause che producono ricchezza, abbiamo imparato che la ricchezza è sempre più immateriale , quali sono le ricchezze delle nazioni? la risposta è l’intelligenza, la capacità di comprensione, di immaginazione, di organizzazione,di invenzione , di iniziativa. Questa è la grande risorsa trascurata dall’economia…il paradosso del terzo mondo è che bisogna costruire alloggi, collegare l’elettricità, produrre frigo per conservare il latte ecc....cè una mole infinita di lavoro e nonostante ciò ci sono milioni di disoccupati.