Citazione Originariamente Scritto da Erikuccia Visualizza Messaggio
Mi sento presa in causa (positivamente s'intende), quindi ti dirò cosa vuol dire per me "progredire e mettersi in gioco a 40 anni".
Ti parlo da donna che ha studiato fino ai 25 anni, donna indipendente che ha girato autonomamente per lavoro mezza Europa in auto (senza ausilio del caro tom tom per giunta), che ha avuto un'ottima occasione di far carriera (intendiamoci, non certo come super manager e nemmeno come quadro; bensì probabilmente come area manager); ma a quel punto ha fatto una scelta, che rifarei mille altre volte, ovvero quella di avere una famiglia.
Ora, non capisco perchè il fatto di essere donna e avere famiglia e figli sia un elemento così "limitante" nel nostro paese; ovvero chiariamo, nella realtà industriale veneta, visto che è qui che vivo e lavoro.
Dal mio punto di vista (sempre se non si parla di super manager) famiglia e lavoro qualificato potrebbero benissimo andare a braccetto e invece no, perchè qui devi rimanere a scaldare la poltrona fino alle 18:00, anche se hai finito il tuo dovere. Stai certo che si svegliano tutti alle 17:00, costringendoti a rimanere in azienda fino a tardi per futili urgenze facilmente evitabili. Come donna (almeno nelle ultime esperienze) sei un'idiota di default, quindi il tuo compito è quello di servire dei "gloriosi maschietti pasticcioni".

Insomma, a 40 anni aspirerei ad avere un po' d'indipendenza nel mio lavoro, un po' di responsabilità, qualche stimolo legato a nuovi compiti che non siano i soliti "servigi" a colleghi o titolari e la possibilità di conciliare anche la mia famiglia.
Ti ripeto, non ambisco a diventare un direttore, ma credo di avere le doti per diventare una responsabile d'ufficio e per approfondire tematiche di carattere amministriativo, trasportuale e commerciale.
E invece no...questo mi delude: aver 40 anni e trovarmi a fare la mera segretarietta

perché anche in questo siamo arretrati e pasticcioni. Il tema è ben chiaro e a conoscenza di molti: la conciliazione di tempi di vita e di lavoro è seguita con estrema attenzione in molti paesi europei. Lì dove il lavoratore è una risorsa per la società e per l'azienda (sia essa privata o pubblica) si cerca di ottimizzare le diverse esigenze in modo che la qualità della vita, e a cascata quella del lavoro, migliori sensibilmente. Sono quelle realtà dove il lavoratore - nel senso generale del termine - è una risorsa preziosa e non carne da macello o un numeretto. Per fare questo gli stati investono denaro, si occupano nei fatti di pari opportunità (sia essa femminile o anche maschile), si dotano di strutture idonee, regolamentano il tutto con norme serie e concrete. Aspetto non secondario anche la classe imprenditoriale è abituata a ragionare in tal senso e così il cerchio si chiude.

Da noi il tutto è affidato a uno stato carente, povero, approssimativo e non per ultimo punitivo. Le nostre norme, a parte qualche dichiarazione d'intenti che rimane tale, sono prive di quella concretezza e attenzione verso il sociale che potrebbe solo fare bene. Infine, questi temi da noi sono trattati da politici incapaci, approssimativi e disattenti, con la complicità (nel senso del disinteresse) dei sindacati. Negli ultimi 25 anni la legislazione sul lavoro si è occupata quasi esclusivamente di smantellare lo stato sociale e neutralizzare colpo dopo colpo le garanzie contrattuali. Il nostro tema centrale è ormai: flessibilità, flessibilità, flessibilità. Ogni 2 anni abbiamo una pseudo riforma del lavoro che ci riporta indietro. Indipendentemente dal politico di turno di centro, di destra o di sinistra.